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POTENZA – A finanziaria fatta la ripartizione delle royalties non convince quasi nessuno. Si è partiti dall’emendamento di Benedetto, che vede la distribuzione delle royalties in maniera diffusa su tutto il territorio regionale seguendo questo criterio di ripartizione: il 12% a favore dei Comuni della Val d’Agri, ad esclusione dei Comuni che beneficiano delle royalties dirette, per una quota di circa 800 mila a Comune l’anno; il 5% a favore dei Comuni  di Potenza e di Matera e di quelli al di sopra dei 10mila abitanti, per circa 660 mila euro a Comune l’anno; il 5% per i Comuni con popolazione compresa tra 5mila e 10mila abitanti per circa 500 mila a Comune l’anno; il 13% a favore dei Comuni fino a 5mila abitanti per circa 200 mila euro a Comune l’anno. E poi si arriva ai sindaci di tutta l’area della Val d’Agri, che invece hanno detto la loro, preparando anche un sub emendamento, che in sostanza punta all’acquisizione di almeno il 40% dei soldi date dati dai petrolieri per finanziare quei Comuni della Valle attualmente non beneficiari di royalties dirette.

L’idea, quest’ultima, che ha visto il sindaco di Pisticci in prima linea: In sostanza stando alla logica utilizzata dai sindaci in protesta il 5% andrebbe a Potenza e Matera, il 40% ai comuni non finanziati e la parte restante in azioni di sviluppo. Praticamente come prendersi quasi tutta la torta milionaria per soddisfare le casse affannate dei Comuni.

Dunque mentre da una parte ci si muove in via centralistica, dall’altra si cerca di spezzettare ancora di più la distribuzione di una ricchezza a termine, perché prima o poi si dovrà anche finirlo questo petrolio.

Che poi la Corte dei Conti questa cosa l’ha detta chiaramente: c’è una discrepanza tra i milioni incassati e quanto i Comuni fanno per lo sviluppo dell’area. In pratica si usano per le spese correnti, coprire i buchi, tappare le falle di bilancio, mentre si continua a parlare di sviluppo e di lavoro.

Certo, per i sindaci non deve essere facile vivere in un luogo dove la presenza petrolifera è quasi totalizzante, ma non lo deve essere in primis per i cittadini. Che poi, se proprio si vuole fare i conti, basta prendere i dati frutto dell’indagine durata tre anni della Corte dei Conti: mezzo miliardo di euro sono stati consegnati nelle mani dei comuni. Una cifra enorme e spesa malissimo. Perché allora prendersi anche il 40%? Perché è chiaro che c’è una guerra economica densa di interessi dietro questa enorme mole di soldi.

L’ultima proposta in ordine di tempo arriva da Michele Napoli, capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale. Non bastava l’idea di dirottare poco meno della metà dei soldi ai comuni non beneficiari di royalties indirette, tanto vale a questo punto costruire una vera e propria banca attorno a questo tesoretto. Proprio quello che ci voleva in tempi dove le banche sono viste come il nemico assoluto del cittadino qualunque.

E rispetto a quanto fatto negli anni da De Filippo e oggi da Pittella «la nostra proposta in tema di utilizzo delle royalties petrolifere – dice Napoli – va in una direzione diametralmente opposta: utilizzare le risorse per creare una banca regionale che garantisca investimenti in settori fondamentali per lo sviluppo regionale quali infrastrutture, ricerca, innovazione, export e ambiente. Una banca che deve promuovere, attraverso i finanziamenti, le attività delle imprese rivolte ai settori produttivi. In sintesi, queste attività sono finanziate dalla regione, attraverso la banca, senza tuttavia comparire nel bilancio regionale (l’espediente è necessario al fine di eludere i vincoli del patto di stabilità) dal momento che formalmente sono garantite da un nuovo soggetto di diritto, che opererà sul mercato alla stregua degli altri operatori privati e quindi delle altre banche, potendo incrementare il proprio capitale sociale attraverso normali operazioni di emissione di azioni ed obbligazioni da collocare appunto sul mercato».

Nulla di meglio che dare potere ad un nuovo istituto per poter gestire un fondo direttamente dandolo in mano a manager e agenti di borsa. Certo, gli investimenti, ma c’è anche la vita id una banca, che spesso è azione spericolata sulla Borsa (e le crisi cicliche lo spiegano più che chiaramente).

Napoli parla di idea “keynesiana”, ma alla fine non cambia nulla nella sostanza: o si distribuiscono secondo criteri percentuali o attraverso una banca i limiti restano gli stessi: non tutti potranno ottenere «sviluppo e occupazione».

v. p.

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