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POTENZA – Col fuggitivo Nicola Cassano avevano messo in piedi una banda specializzata negli assalti ai bancomat con l’esplosivo. Ma a novembre gli inquirenti hanno rintracciato il melfitano “attovagliato” con il compaesano Vincenzo Di Muro, considerato il capo indiscusso dell’omonimo clan del Vulture. Poi si sono concentrati sul terzo commensale, e dai tabulati dei cellulari sono risaliti a un altro melfitano: Ivo Lopa, un professionista del mestiere. Hanno confrontato i contatti con le date degli ultimi colpi messi a segno tra Puglia e Basilicata, e ieri mattina sono scattate le manette.

Sono 4 gli arrestati nel blitz della sezione anticrimine della mobile di Potenza, che ieri mattina ha portato in carcere Lopa e i suoi complici pugliesi: Vincenzo Marchese, Francesco Brattoli (detto “il nano”) e Valerio Mastasi. Mentre un quinto indagato, sempre del foggiano, risulta ancora ricercato.

Nel fermo spiccato dal procuratore capo di Potenza Luigi Gay e dall’aggiunto Francesco Basentini, il nome di Cassano non c’è. Ma soltanto perché già detenuto, dopo l’evasione, a marzo del 2013, dal carcere di Porto Azzurro, e una latitanza durata circa 20 mesi.

Proprio a Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, Cassano aveva incontrato il bolognese (ma di origini foggiane) Vincenzo Marchese, ristretto per altri reati contro il patrimonio. Mentre lui stava scontando la condanna a 38 anni per l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Marino Di Resta nella sparatoria seguita a una rapina messa a segno a Pescara nel 1996. Così quando Marchese è uscito Cassano l’avrebbe seguito, sfruttando un permesso premio per darsi alla latitanza. Si sono messi al lavoro insieme, e sono stati persino arrestati mentre cercavano di uscire dalla Turchia con 5 chili di eroina.

La polizia del Bosforo li avrebbe rilasciati dopo poco, senza badare più di tanto nemmeno al documento falso di Cassano, che viaggiava a nome Nicola Di Canosa. Per questo sono potuti tornare a dedicarsi alla loro “specialità”: i colpi ai bancomat.
Si muovevano come fantasmi tra Puglia, Basilicata e Campania, materializzandosi all’improvviso con «palette» e cariche esplosive a «marmotta». Un botto fragoroso e via. Portando con sé quando 15mila euro e quando molto di più, a seconda delle giornate. Fino a quando gli agenti della mobile di Potenza non hanno fatto irruzione in un ristorante di Bertinoro, un piccolo borgo in provincia di Forlì-Cesena, e li hanno trovati seduti davanti a un piatto di tagliatelle: Cassano, Marchese e Di Muro, che da diversi anni risiede poco lontano, a Forlinpopoli, una ventina di chilometri più nord.

Di Muro, condannato anche di recente a 14 anni (in primo grado) per associazione a delinquere di stampo mafioso e rapina, non risulta coinvolto negli assalti agli istituti di credito scassinati. Ma ascoltando le conversazioni di Marchese e dei suoi complici gli investigatori hanno registrato riferimenti sospetti a un «boss». Soprattutto in occasione di trasferte verso settentrione per reperire – si presume – esplosivi e quant’altro.
Di ritorno da Bertinoro, Marchese non avrebbe atteso molto prima di riprendere la sua attività, sostituendo Cassano che era ritornato in carcere. Gli investigatori hanno seguito le loro tracce a Poggio Imperiale (20 maggio), Palazzo San Gervasio (13 giugno), Montemilone (30 giugno), Andria (8 agosto), Gravina (19 agosto), e la scorsa settimana Rocchetta Sant’Antonio (29 agosto).

Nella “squadra” avrebbe avuto un posto fisso anche Ivo Lopa: melfitano pluripregiudicato cresciuto alla “scuola” del cognato di Rapolla Antonio Orlando, morto nel 2011 a Pero, in provincia di Milano, durante un “lavoro” finito male. Cose che capitano a chi maneggia esplosivi di notte.

Ieri mattina Lopa è entrato in carcere, con l’effige di Arsenio Lupin stampata sulla maglietta. Mentre gli agenti della mobile sequestravano a casa sua e degli altri arrestati arnesi da scasso, micce, telefoni, walkie talkie, una pistola con tanto di munizioni, due scacciacani, e circa 20mila euro in contanti. Un pacco di banconote da 50 euro e da 20, tra le quali diverse macchiate dai sistemi automatici antiscasso. Oltre a una piccola collezione di reperti archeologici, in particolare vasellame, verosimilmente di età pre ellenistica.

In contemporanea sono stati sottoposti a perquisizione anche un assessore comunale di Palazzo San Gervasio, Antonio Paradiso, e il compaesano Gaetano Di Serio, che risultano indagati per aver dato supporto logistico alla banda per il colpo messo a segno a giugno (in totale gli indagati sono 11 assieme ai 5 destinatari del fermo).

Paradiso, imprenditore agricolo eletto in una lista civica emazione del Pd, era stato già arrestato due anni fa, quando aveva ancora la delega all’immigrazione oltre a lavori pubblici, urbanistica, attività produttive e viabilità.

E’ tuttora a processo a Potenza con l’accusa di aver sequestrato e torturato un lavoratore rumeno sospettato di avergli rubato un trattore. Ma è sempre stato difeso dal sindaco Michele Mastro che gli ha rinnovato la fiducia anche nei momenti più bui.

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