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COSENZA – Nessun abuso d’ufficio. L’attuale sostituto procuratore di Lagonegro, Francesco Greco, all’epoca dei fatti pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Paola, è stato assolto dall’accusa di abuso d’ufficio.

La sentenza è stata emessa in questi ultimi giorni dal tribunale di Salerno, seconda sezione penale (Vincenzo Siani presidente), ed è strettamente collegata alla caso delle “Navi dei veleni”, delle quali si è ritornato a parlare dopo la pubblicazione delle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone.

La vicenda ha a che fare con un’inchiesta, denominata “Nettuno”, che il magistrato – nella sua qualità appunto di ex pm della procura di Paola – aprì nel 2003 per conoscere lo stato di saluta dell’intera costa tirrenica cosentina.

Greco nominò quattro consulenti, che dopo circa un anno e mezzo di prelievi e viaggi in mare presentarono le loro conclusioni e, ovviamente, il conto, ammontante a un milione, 291mila, 167, 49 euro.

L’importo era comprensivo delle spese sostenute per il noleggio della “Coopernaut Franca” presso la Società Nautilus. Si tratta della imbarcazione che, adatta al compimento di rilievi oceanografici, geofisici e ambientali, è stata utilizzata nel settembre del 2009 nel corso delle indagini sulla presunta nave dei veleni affondata a largo di Cetraro.

Ebbene, il magistrato  – che procedette con l’archiviazione di quell’inchiesta (accolta dal gip nel febbraio del 2007) – non saldò non solo perché ritenne sproporzionata la richiesta dei quattro ma anche perché non condivise le loro «allarmanti» conclusioni (vedere box in basso). I quattro insistettero e Greco alla fine li denunciò per abuso d’ufficio e truffa.

Il caso passò al pm Facciolla, anche lui in quel periodo in servizio a Paola, che alla fine chiese, e ottenne, l’archiviazione per i quattro consulenti, ritenendo “legittima” la loro richiesta di liquidazione.

La patata bollente è quindi passata alla Procura di Salerno, competente per territorio per quanto riguarda reati che vedono come protagonisti i magistrati, e il pm Greco finì indagato per abuso d’ufficio insieme all’allora procuratore capo della Procura di Paola. Seguì, nel marzo del 2011, il rinvio a giudizio del solo Greco. Nello specifico fu accusato di aver abusato dei propri poteri, adoperandosi nel convincere i consulenti «a recedere del tutto dalle rispettive pretese creditorie». Lo stesso magistrato, e sempre secondo la procura salernitana, avrebbe indagato i quattro «al solo scopo di indurre ciascuna persona offesa a recedere dalla propria pretesa creditoria». E così il pm avrebbe «intenzionalmente arrecato» loro «un danno patrimoniale di rilevante gravità, impedendo di fatto, o comunque, ritardando e ostacolando il soddisfacimento del credito». Tesi che non ha convinto i giudici che in questi giorni hanno assolto l’attuale procuratore (difeso dall’avvocato Franco Sammarco, del foro di Cosenza) con la formula “perchè il fatto non sussiste”. E’ stata dunque riconosciuta la sua buona fede e il legittimo operato.  La pubblica accusa, rappresentata dal pm Cosentino, aveva chiesto invece la condanna del procuratore a un anno di reclusione.

Nel corso del processo la difesa ha, tra le altre cose, fatto notare che le richieste di liquidazione avanzate nel corso del tempo dai consulenti sono state rigettate dall’Ufficio di Procura anche dai successori di Greco.

“LA JOLLY ROSSO”. L’inchiesta “Nettuno”, per la quale Greco è finito davanti ai giudici di Salerno, è propedeutica a quella aperta sulla “Jolly Rosso”, la nave che si arenò sulle coste di Amantea. Era il 14 dicembre del 1990, l’anno dei mondiali giocati in Italia. All’inizio si ipotizzò che quella nave, di proprietà della società Messina, trasportasse fusti pieni di rifiuti tossici da scaricare nel Tirreno e che furono fatti sparire di tutta fretta subito dopo quell’imprevisto spiaggiamento. La procura di Paola (nella persona dell’allora pm Domenico Fiordalisi, ora procuratore capo a Lanusei, in Sardegna) aprì un’indagine, che fu però archiviata. Dopo qualche anno l’inchiesta fu riaperta dallo stesso pm Francesco Greco, sempre quando era in servizio a Paola. Anche lui alla fine chiese e ottenne, in mancanza di prove, l’archiviazione, firmata dall’allora gip del tribunale di Paola, Salvatore Carpino. 

Dopo qualche anno, in una intervista rilasciata a un noto settimanale nazionale, Greco confessò di essersi pentito di aver riaperto quell’inchiesta, che creò solo allarmismo. 

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