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di NINO D’AGOSTINO
E’ buona norma porsi al di sopra dei fatti contingenti, inquadrandoli in un contesto più generale, per coglierne i reali significati. Rossi Doria invitava a prendere visione del bosco e non soltanto del singolo albero. Spesso si incorre nella tentazione di seguire le mode, anche in politica e nel sociale, pensando a soluzioni salvifiche concepite fuori della politica come quelle degli “indignados” che pur avendo giustificazioni profonde di protesta (il lavoro che manca,
una finanza cinica e disinvolta) mancano gli obiettivi da raggiungere o meglio ne individuano alcuni, semplificando molto le variabili sociali ed economiche in gioco, portandosi dietro ideologie fumose o sorpassate, sconfitte, peraltro, dalla storia.
L’indignazione, come ha osservato di recente Galli Della Loggia, è l’ennesima manifestazione dell’antipolitica che non sa cosa voglia dire la politica e cosa è il mondo.
Chi è consapevole di queste due cose non s’indigna, ma lotta quotidianamente con proposte, azioni, movimenti strutturati (i partiti, in cui bisogna entrare, rimboccandosi le maniche), partendo da un minimo di cognizioni economiche e politiche.
Chi non ha queste percezioni si proclama “indignato” (siamo alla ennesima professione?).
Riportando queste considerazioni in Basilicata, viene da fare alcune considerazioni: l’indignazione diventa occasione per formulare giudizi politici troppo semplicistici, avanti alla politica che è fenomeno estremamente complesso, diventa strumento per inserirsi nel gioco politico, rappresentando posizioni parziali che andrebbero analizzate con attenzione per comprenderne eventuali interessi reconditi.
Così facendo si perde l’ennesima occasione per contribuire alla sua evoluzione.
Il limite di questi atteggiamenti è che non si tiene conto del contesto in cui si opera: non condivido, per dirla in soldoni, volendo tra l’altro esemplificare, la critica feroce rivolta al segretario del Pd, Speranza, un giorno sì e l’altro pure.
Per carità, criticarlo è doveroso, ma ciò che manca nell’azione critica è la capacità di inquadrarla in ciò che sta succedendo in questa fase politica che ritengo di possibile svolta nel modo di governare la regione.
Speranza rappresenta, insieme ad altri giovani e meno giovani (l’età non è sempre un parametro di rinnovamento), un processo di “possibile” cambiamento della politica regionale.
Come si fa a non capire il contesto in cui il segretario del Pd lucano è costretto a muoversi, un contesto fatto di un partito e di rappresentanze egemoniche che lo rappresentano nelle varie istituzioni regionali che teorizzano il modello lucano, virtuosità false e quindi inesistenti, sostenute da tanti “tuttapostisti”, per usare una efficace espressione di Paride Leporace?
C’è una nuova classe dirigente nel Pd che faticosamente sta cercando di farsi largo, di cambiare le modalità di governo della cosa pubblica, una classe che sostiene cinque cose che, dato il contesto politico, appaiono rivoluzionarie e cioè 1° ottenere il consenso non basandosi sulla clientela, ma sullo sviluppo della regione, 2°modificare la domanda che la società (Imprenditori, ceto professionale, associazioni sindacali, ecc.) rivolge alla politica che è di bassa qualità, in linea con le intenzioni di una classe politica che mira al proprio tornaconto a spese di una collettività sempre più frustrata nei suoi bisogni primari (il lavoro, l’uscita dalla povertà e dalle disuguaglianze), 3°chiedere a tutti i soggetti sociali di fare la loro parte, rinunciando all’idea della politica che risolve tutti i mali, 4° riconoscere la realtà così com’è, senza mistificazioni, 5° darsi un disegno di sviluppo di lungo periodo, superando politiche contingenti improduttive per la società, ma utili per il sistema potere.
Non sono cose da niente in una regione in cui l’intolleranza, il dissenso sono pane quotidiano.
Come si fa a non vedere che dietro tali linee politiche c’è la contestazione del famigerato modello lucano, e di contro l’idea di orientare la spesa pubblica per creare un contesto sociale e territoriale che dovrebbe rappresentare il fine della politica, nel quale ognuno svolga il proprio ruolo in base alle sue potenzialità e non alla sua appartenenza a questo o quel clan familistico-clientelare?
Ebbene di fronte a questo tentativo di rinnovamento della politica, assistiamo a critiche feroci spesso indecenti che fanno il gioco, se non altro oggettivamente, di chi vuole che nulla cambi.
Se abbiamo veramente a cuore le sorti di questa regione dovremmo augurarci che il processo appena avviato possa realizzarsi, ed invece ci accaniamo con molti pregiudizi contro i portatori del rinnovamento, come se modificare un sistema di potere fortissimo come quello attuale, scardinare una società blindata dal clientelismo possa verificarsi nel breve lasso di un mattino.
È appena il caso di osservare che siamo nella fase delle enunciazioni, talvolta peraltro contraddette da iniziative specifiche quanto contingenti.
Ma credo che la nuova classe dirigente vada messa alla prova, sia incalzandola e sia incoraggiandola.
Una apertura di credito mi sembra doverosa da dare, dato che è in discussione il futuro della regione.
Il bilancio va fatto al momento giusto, con dati concreti ed indiscutibili, consapevoli di ciò che passa oggi il convento regionale, un convento povero, ma con i monaci ricchi, per dirla con Rino formica, ed in quanto tale profondamente ingiusto nell’ottica di Amartya Sen che al contrario considera la povertà come privazione di capacità e l’accesso libero ed equo alle opportunità come fondamento di un consesso civile moderno, temi essenziali per una politica nobile.
La Basilicata è ad un bivio tra una strada che porta allo sviluppo e una che conduce alla conservazione dello status quo che ha in fondo il tunnel del suo declino. È in campo una nuova generazione di politici, imboccherà la prima strada, pur essendo essa irta di grandi ostacoli o la seconda, più tranquilla, più agevole da percorrere, omologandosi al vecchio andazzo, infoltendo la schiera dei frati ricchi?
La scelta dipenderà “anche” da noi, dalla società civile, dai giovani, dagli “indignados” (perché no), se sapremo individuare le vere alleanze, buone prassi ed obiettivi da perseguire.

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