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DEI tanti e dettagliati dati del “Rapporto Povertà 2011” della Caritas, colpisce la sintesi d’insieme dell’analisi sulla nostra regione, che dice: “In Basilicata, l’incidenza della povertà relativa è superiore alla media nazionale: nel 2010 il 28,3% delle famiglie residenti si collocava sotto la linea di povertà relativa. Rispetto al 2009 la povertà è aumentata di 3.2 punti percentuali (coinvolgeva il 25,1% delle famiglie). Nel quadro complessivo, la Basilicata risulta la regione più povera d’Italia seguita dalla Sicilia e dalla Calabria; al contrario la Lombardia, l’Emilia Romagna e l’Umbria risultano le tre regioni meno povere”. Ora, è ovvio che la povertà assoluta è cosa diversa rispetto alla povertà relativa, ma la povertà relativa è più insidiosa e sfiancante di quella assoluta, perché non si vede, non è eclatante, non si accoppia a degrado sociale o a fenomeni evidenti ed emergenziali (file alle mense caritatevoli, accattonaggio, disagio sanitario dei senza fissa dimora d’inverno, come capita nelle metropoli, ecc.), ma crea una bassa e costante bassa pressione nella società, un’astenia e una sfiducia che impoverisce l’intero tessuto sociale, come una febbricola che non oltrepassa mai i 38°, ma che è massimamente debilitante.
Più volte abbiamo affermato che non sarà mai il Pil di un territorio a dirne il benessere e la qualità della vita, ma risultare nero su bianco la regione più povera d’Italia – benché non ci sia nulla di cui vergognarsi – è qualcosa che chiama direttamente in causa le scelte e le strategie della politica sul fronte dello sviluppo e delle tematiche legate al lavoro, anche perché non siamo sempre stati come adesso la regione più povera del nostro Paese. Ci chiediamo, in altri termini, quali altri dati e quali altre notizie occorrano per indurre una classe dirigente (immobilizzata da continue faide per il potere) a fare almeno un po’ di autocritica, e magari rilanciare l’azione di governo, per finalmente mettere in campo strategie innovative ed efficaci per rianimare una regione che è in estrema difficoltà (e non solo perché c’è la crisi a Wall Street, o per colpa del Governo Berlusconi). Non siamo populisti o semplificatori, e sappiamo bene che dietro la povertà ufficiale spesso c’è economia sommersa, evasione fiscale, assistenzialismo indiretto, un basso costo della vita. Ma queste “giustificazioni” sono, appunto, il segno tangibile di una società ferma e paralizzata che si “arrangia” e che vive di espedienti – e anche questo, a dirla tutta, è un fallimento della politica. Da via Anzio la parola d’ordine è ripetere in ogni dove che “nessuno ha la bacchetta magica”. D’accordo, nessuno ha la bacchetta magica. Ma quale altra evidenza occorre per cambiare il passo, per aprire una nuova stagione di rilancio economico e sociale della nostra regione, e per creare un po’ di inquietudine programmatica? Deve venire la fine del mondo per costringere i politici di via Anzio ad ammettere che c’è qualche problema? Anche perché i politici non sono pagati per dire ai cittadini arrabbiati “diteci voi cosa dobbiamo fare”, ma si presume che abbiano in mente una strategia e una visione d’insieme. Appunto, si presume.

Andrea Di Consoli

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