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«E’ molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si deve essere sempre». L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, ha lanciato una profonda riflessione per la seduta della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta dedicata alla Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime delle mafie. Nell’intervento dell’arcivescovo, intitolato “La legalità nel Magistero della Chiesa”, si aggiunge che «La battuta che Luigi Pirandello mette in bocca ad uno dei protagonisti del suo ‘Il piacere dell’onestà’ ho voluto diventasse l’incipit della mia riflessione in questa giornata particolare dedicata alla memoria delle vittime della mafia ed a quel principio, la legalità, di cui s’avverte sempre più il bisogno in un contesto in cui crescono paura ed omertà». 

«In particolare, il 21 marzo è, e deve divenire ancor più, il giorno in cui interrogarsi sulla necessità di trasformare la memoria in impegno quotidiano – ha proseguito Bertolone – per liberare definitivamente le nostre terre dalla violenza della ‘ndrangheta. Dietro i titoli preoccupanti dei giornali e le notizie diffuse dalle televisioni, vi sono infatti le nostre città, i quartieri, le famiglie; soprattutto, vi sono i volti degli individui – i senza lavoro, gli inoccupati, i disoccupati, i sottoccupati, gli anziani malati e con scarsa solidarietà socio-sanitaria, i ragazzi e i giovani ovvero i volti di tutti coloro che sono stati profondamente colpiti dalla crisi economica e finanziaria, effetto perverso di una globalizzazione mondiale, non governata o governata male e poco – ha aggiunto Bertolone -. I più segnati, infatti, sono coloro che erano già poveri, oppure chi lo è diventato uscendo dal mercato del lavoro; chi non ha una casa e non può averla col sostegno economico delle banche; chi non ha più una plausibile prospettiva di lavoro (essendo inoccupato o sotto-occupato o, peggio, uscito irrimediabilmente dal cosiddetto mercato del lavoro); chi al massimo può lottare per sopravvivere. Insomma, gli ultimi». 

Per Mons. Bertolone «Legalità, iniziativa e creatività sono le regole da scrivere e interpretare in senso dinamico che chiedono spirito d’iniziativa e creatività da parte dei cristiani i quali, pur non essendo del mondo, sono nel mondo, nei quartieri, nelle città e negli Stati. Ecco il senso e l’obiettivo degli stessi interventi del Magistero cattolico in ambito sociale, economico e politico, fondamento della ‘dottrina sociale della Chiesà. Ecco il senso della costante opera di educazione alla legalità perseguita dal Magistero, a livello sia di Chiesa universale, sia di Conferenza episcopale italiana, e Chiese di Calabria riversata perfino nei catechismi. Il fine, infatti, resta religioso: adoperarsi per educare al Vangelo e, soprattutto, superare creativamente la mera logica della semplice giustizia – che è necessaria, ma non sempre sufficiente – per integrarla con altre logiche, quali la testimonianza, la pace, la non-violenza, la salvaguardia del creato, il perdono, il bene comune». «Educare alla legalità significa, in definitiva, anche levar la voce e protestare contro tutti i miti, le violenze, i dispotismi- ha rilanciato Mons. Bertolone-. Significa condannare tanto l’egemonia economica del capitale quanto la dittatura di classe ammonendo che la vera democratizzazione dell’economia è minacciata sia dal monopolio ossia dal despotismo economico di un anonimo conglomerato di capitale privato che dalla forza preponderante di moltitudini organizzate e pronte a usare della loro potenza a danno della giustizia e del diritto altrui. Accanto alla protesta e alla condanna, la proposta, anche tecnica: risolvere alcuni problemi con l’intervento dello Stato; la difesa del diritto universale di voto, l’orientamento del voto dei cattolici verso quei candidati o quelle liste di candidati di cui si ha la certezza che rispetteranno e difenderanno l’osservanza della legge divina e i diritti della religione e della Chiesa, nella vita privata e pubblica». 

«La formazione delle coscienze e il rinnovamento dello spirito religioso delle popolazioni del Meridione è un compito ecclesiale primario contro ogni vecchia cultura del rispetto che porta nuove persone alla ‘ndrangheta – ha asserito Mons. Bertolone-. Nella ‘ndrangheta, infatti, si entra col mito del rispetto, con la certezza che prima ‘non sei nessunò e poi tutti ti temeranno. Si entra pensando di poter contare sull’amicizia e sulla solidarietà di tutta ‘l’onorata società’, dentro e fuori il proprio paese; si entra pensando di poter fare soldi, tanti soldi, per garantire alla propria famiglia una vita da signori, per costruire un avvenire ai figli; si entra perchè ‘l’onorata società’ ha amici influenti, che possono garantire lavoro e buone raccomandazioni per ottenere quello che altrimenti non si otterrebbe mai. Si entra per tutti questi motivi, ma poi le promesse si rivelano ben presto un grande imbroglio. Non meno fondamentale, allora, è l’esigenza d’investire in legalità e fiducia attraverso «un’azione pastorale che miri a cancellare la divaricazione tra pratica religiosa e vita civile e spinga a una conoscenza più approfondita dell’insegnamento sociale della Chiesa, che aiuti a coniugare l’annuncio del vangelo con la testimonianza delle opere di giustizia e solidarietà». «E’ indispensabile – ha asserito ancora Mons. Bertolone- che tutta la società civile e la Chiesa rilancino il concetto di legalità, non nel senso striminzito della pur imprescindibile osservanza delle norme giuridiche, ma come espressione di nuova etica pubblica che faccia ben comprendere che le leggi vanno fatto col cuore e col cervello e, dopo, osservate da tutti». «Ai giorni nostri non ci sono solo dubbi, difficoltà, amarezze: ci sono anche tanti germogli, il desiderio di ritorno alla famiglia, al senso della Patria, al bisogno di religiosità, ci sono tante realtà, che con la ricchezza del loro impegno fanno ben sperare. C’è sempre, per dirla con Ignazio Silone – ha concluso così Mons. Bertolone – un seme buono che sta per germogliare sotto la neve. A noi il compito, il dovere, l’obbligo di coltivarlo perchè dia frutto». 

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