X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

PER mandare messaggi, si servivano di cabine telefoniche di luoghi pubblici. Non usavano cellulari perchè – forse – erano ben consapevoli che potevano essere intercettati. Non solo. I telefoni pubblici scelti, dovevano essere rigorosamente “non lucani”. Molti dei messaggi multimediali erano spediti dalla Calabria e dalla Campania. L’sms datato 27 maggio 2013 intercettato sull’utenza di Antonio Bulfaro è risultato trasmesso da una cabina telefonica all’interno dell’ospedale civile di Salerno. Importante ai fini dell’inchiesta sono i due sms indirizzati all’imprenditore Giovanni Labanca il 19 giugno del 2013 e il 10 novembre dello stesso anno. Il primo era stato spedito da una cabina pubblica ubicata all’interno dell’ospedale di Polla, il secondo dal contenuto eloquente («Alla chiesa madre non è arrivato ancora niente, i mezzi sono assicurati i nostri cari no. Ragion per cui muoviti, non posso pensare che sei così stupido») invece è stato inviato da una cabina telefonica presente all’interno dell’area di servizio di Campagna Ovest. «Proprio tale ultima circostanza – è specificato nell’ordinanza – consentiva di risalire all’identità dell’autore che, in entrambi i casi, dopo aver inviato il testo dei due messaggi, al fine di evitare l’esaltazione dell’ultimo numero composto attraverso il tasto di ripetizione, simulava in tutte e due le occasioni una telefonata a un numero telefonico di fantasia». L’autore non sapeva che le telecamere di videosorveglianza dell’autostrada (il cosiddetto sistema Sarc) che ha consentito di risalire a un’autovettura risultata intestato alla moglie di Biagio Riccio. «In particolare – continua l’ordinanza – l’autoveicolo risultava accedere proprio all’area di servizio da dove era partito il messaggio intimidatorio al Labanca cinque minuti prima dalla trasmissione del predetto». Inoltre «la visione delle immagini consentiva di notare che detto autoveicolo si dirigeva direttamente sul retro del bar-tabacchi dove il conducente, parcheggiata l’autovettura, scendeva e si avvicinava alle cabine telefoniche pubbliche dell’area di servizio site sull’angolo destro del bar-tabacchi». Per gli investigatori «proprio la contestualità tra tale momento e quello in cui il Labanca riceveva il messaggio intimidatorio consentiva di riferire al conducente, ossia al Riccio, la paternità del messaggio: ciò anche perchè nessuna altra persona veniva ripresa dalle telecamere in tale arco di tempo». La questione dei “prefissi” era una una sorta di “pallino”. E una circostanza raccontata dagli investigatori descrive il clima che si era instaurato tra i tre quando una telefonata era partita da un telefono pubblico di Lagonegro. Il primo aprile scorso Buldo contatta Riccio «chiedendogli di compiere una telefonata minatoria ad una terza persona nei cui confronti erano creditori della somma di 7.000 euro per un affare commerciale concordato insieme». Per Buldo serviva «una voce buona, ossia una persona non conosciuta dall’interlocutore». Riccio contatta l’amico Torino perchè aveva bisogno «di una cosa di soldi». Quest’ultimo usa un telefono pubblico ricadente nella zona di Lagonegro. Questa circostanza ha allarmato non poco Biagio Riccio «che nel riferire il particolare al Buldo (“L’ha fatta la telefonata!!! L’ha fatta da una cabina…questo sarà uscito lo 0973…eh!!”) lo avvertiva così del rischio che il destinatario avrebbe potuto individuare il prefisso del telefono chiamante, risultato corrispondente a quello di Lagonegro ossia lo “0973” e, quindi ricondurre la responsabilità dell’episodio proprio allo stesso Buldo (“E’ malamente si!!! che capisce subito che c’è la mano mia…e non gli danno più niente!!! Questo è mannaggia al manicomio)». Buldo che sapeva che Torino doveva partire per il Piemonte si lamenta della circostanza. «Ma dai – dice – doveva andare a Torino!!! Va bene dai!!! Va bene…sempre a tarantelle dai!!!». Il prefisso non è una questione da poco per gli investigatori. Chiamare da un telefono pubblico lucano significava, scrivono gli investigatori, mettere «in luce lo scarso spessore criminale degli autori». Per questo lo stesso Buldo «sottolineava l’opportunità che un’ulteriore telefonata venisse fatta da una cittadina calabrese per incutere paura al destinatario». Serviva dunque «un prefisso buono» «preferibilmente calabrese». Pertanto Riccio «girava il nuovo ordine a Torino». Tuttavia, siccome quest’ultimo doveva recarsi nel capoluogo piemontese, la telefonata verrà fatta proprio dall’ospedale. Il destinatario della minaccia era un imprenditore risultato – dice Torino al Riccio in una telefonata intercettata – «per niente impaurito».

g.rosa@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE