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POTENZA – Non ha avuto bisogno di attraversare a nuoto di nascosto i dieci chilometri che separano l’isola d’Elba dalla terraferma. Nè di calarsi da una finestra con le lenzuola annodate. Gli hanno concesso un permesso premio, e poi un altro ancora. Così da marzo uno dei killer del maresciallo Marino Di Resta è di nuovo a piede libero, latitante e ricercato in tutta la penisola.

Potrebbe essere tornato a casa Nicola Cassano, il 45enne melfitano evaso dal carcere di Porto Azzurro. E’ il sospetto degli investigatori sulle sue tracce, che hanno allertato i principali sistemi di sicurezza. Cassano stava finendo di scontare una condanna a 38anni per l’omicidio del carabiniere che l’aveva scoperto assieme ai suoi complici subito dopo la rapina a un rappresentante di gioielli, il 19 settembre del 1996. Assieme a lui, all’epoca 28enne, della banda facevano parte Carmine Marolda, 35enne venosino considerato il capo, e due 27enni di Cerignola, Antonio Scelsi e Gianfranco Sgramella.

Marolda più di recente è stato indicato come uno dei sicari al soldo del clan Cannitto di Barletta, che si era già macchiato qualche mese prima, il 20 aprile del 1996, dell’omicidio di un “traditore” per questioni legate al traffico di droga. Fatto sta che anche a Pescara sarebbe stato lui a premere il grilletto, vedendo arrivare i militari nella casa in cui si erano rifugiati con la refurtiva. In realtà si trattava di un edificio ancora in costruzione appena acquistato da una famiglia Rom tutt’altro che raccomandabile, tenuta sotto stretta osservazione dagli investigatori. Per questo il maresciallo Marino Di Resta sentito l’allarme si era diretto subito lì, arrivando mentre stavano ancora scaricando la valigetta sottratta poco prima all’uscita del casello di Francavilla al Mare, bloccando l’auto della vittima con le armi spianate. A quel punto però la reazione dei rapinatori sarebbe stata immediata ed improvvisa, nonostante lì attorno vi fossero dei giovani di ritorno da scuola. Una raffica di proiettili esplosi da un fucile mitragliatore avrebbe preso di sorpresa Di Resta e i due militari che lo accompagnavano, Giorgio Corvaglia e Annibale Di Lizio, feriti a loro volta. Soltanto il maresciallo sarebbe stato raggiunto da otto colpi, alcuni dei quali mentre era già a terra. Poi i colleghi hanno iniziato a rispondere al fuoco, recuperando gran parte del bottino e riuscendo ad acciuffare il “basista” proprietario del rustico mentre i quattro se la davano a gambe.

Per arrestare Marolda, Cassano e gli altri sarebbe occorso meno di un mese, con l’irruzione in un’anonima villetta di Barletta dove si erano nascosti con la moglie e il figlio del capobanda, grazie al sostegno degli “amici” del posto. Da allora e per tutto questo tempo sono rimasti in carcere, sparsi tra gli istituti di mezza Italia. «Fine pena 2022». Recita la scheda del 45enne di Melfi. Ma alla fine dell’anno scorso, come previsto dalla legislazione carceraria, è scattata la concessione dei primi permessi premio.

Cassano infatti non è il primo dei quattro assassini del maresciallo a darsi alla macchia. A dicembre era stato Antonio Scelsi ad allontanarsi dal carcere di Turi per un permesso, in provincia di Bari, senza farvi più ritorno. Lo avevano ripreso ad aprile i militari della compagnia di Frascati, supportati dai colleghi dell’Arma e della Fiamme gialle di Barletta, e quelli del Ros di Roma, al termine di una caccia culminata con il blitz ad altro tasso d’adrenalina in un appartamento nella periferia di Roma. Scelsi si trovava in compagnia di un altro ricercato, Giuseppe Cirino, un 25enne foggiano con un’ordinanza di arresto pendente per rapina del Tribunale di Bologna. Con loro avevano due revolver e una mitraglietta Scorpion carichi e pronti all’uso, se soltanto avessero avuto il tempo di impugnarli. Così almeno era successo il mese prima a Barletta quando a un posto di blocco non appena hanno capito che i documenti falsi non avevano ingannato i finanzieri di turno hanno iniziato a sparare per coprirsi la fuga.

Marino Di Resta era originario di Sessa Aurunca in provincia di Caserta. Quando è morto aveva 34 anni e ha lasciato dietro di sé una moglie, medico di professione, e due figli: un maschio e una femmina di 8 e 2 anni. Il suo sacrificio ha provocato profonda commozione a Pescara e ancora oggi viene ricordato come una delle pagine più tragiche della storia recente della città.

l.amato@luedi.it

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