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REGGIO CALABRIA – Una lista di oltre 150 testimoni con nomi illustri del mondo della politica, della giustizia e del clero. È l’elenco delle persone citate dall’avvocato Giuseppe Nardo all’ottava sezione collegiale del Tribunale di Milano nell’interesse di Giulio Lampada, l’imprenditore di Reggio Calabria accusato dalla Distrettuale antimafia di Milano di essere il collettore di interessi politico-mafiosi tra la Calabria e la Lombardia. Tra i nomi che il penalista legale di Lampada ha inserito nella sua lista testi ci sono quelli di magistrati come l’attuale presidente della Corte di Appello di Catanzaro, ed ex presidente del Tribunale di Locri, Domenico Jelasi. Ci sono i magistrati antimafia Alberto Cisterna e Roberto Pennisi, e ancora Piero Gaeta e Iside Russo. Tutti dovrebbero riferire sulla frequentazione del ristorante tavola-calda “Da Giulio”, situato nei pressi del vecchio Tribunale reggino in cui fino ad una decina di anni fa giudici e magistrati si recavano spesso a pranzo e a cena e avrebbero avuto conoscenza diretta di Giulio Lampada, accusato oggi di essere un imprenditore in odore di mafia. Ma nella lista delle persone citate dalla difesa ci sono anche direttori di banca e imprenditori, tutti in qualche modo in affari con Giulio Lampada e a conoscenza dei suoi business. E tra i nomi dei testi che dovrebbero comparire davanti ai giudici di Milano anche quello del cardinale Tarcisio Bertone, il Vescovo di San Gregorio Magno e quello emerito di San Marco-Scalea, che secondo la difesa dovrebbero riferire sulle modalità con le quali Lampada è riuscito ad ottenere il via libera per il battesimo della figlia in Vaticano e su come sia riuscito ad arrivare alla nomina di “Cavaliere di San Silvestro”. E ancora risultano nella lista dei citati come testi della difesa i magistrati reggini Concettina Garreffa e Daniela Oliva. Quello che potrebbe sfilare davanti ai giudici milanesi è un elenco di persone che dovrebbero riferire sui rapporti tra Lampada e la politica, tra Lampada e il mondo imprenditoriale e sul fatto che il presunto boss fosse in collegamento con una consistente fetta di universo istituzionale. 

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