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IL LASCITO leviano è, a distanza di tanti anni, il grande tema della riflessione culturale lucana. Levi sì / Levi no è il refrain di due squadre in campo per rivendicare o rimuovere la produzione letteraria dello scrittore torinese. La “contesa” registra in questi giorni un interessante aggiornamento con la pubblicazione – e la presentazione itinerante – di “Appennino”, rivista edita dal consiglio regionale che nella sezione iniziale del suo numero d’esordio dedica cinquanta delle 140 pagine totali proprio a Carlo Levi. Un “Noi” declinato da firme autorevoli del calibro di Nigro, Crovi, Di Consoli e Cappelli e adattato alla Basilicata 2015. 

«Quando qualche lucano acculturato – scrive Andrea Di Consoli – mi dice in tono polemico “ma noi non siamo poveri come eravamo nel Cristo di Levi”, oppure “dobbiamo superare il levismo per entrare anche noi nella modernità”, io provo una profondissima pena per quelli che mi sembrano semplicemente dei parvenu di provincia. Levi non “denunciava” l’arretratezza e il sottosviluppo come essi sottendono, ma coglieva nel e del popolo lucano sentimenti nobili, antichi, enormi: la pazienza, la fraternità, l’umiltà, la religiosità spaventata, la consapevolezza della povertà come condizione naturale dell’uomo». È un approccio che già da solo basterebbe ad animare (almeno) un dibattito a tema. Di Consoli argomenta nella pagina seguente: «Il popolo che Levi ha raccontato così magistralmente l’hanno amato fraternamente – senza folclorismi o esotismi – milioni di persone. È altrettanto amabile il nostro mondo moderno, la nostra Lucania di oggi che si vergogna della povertà e che, con zelo, ripete in ogni dove che via Pretoria è come la Fifth Avenue? Sono loro i nuovi “luigini” in versione 2.0?».
Il corso principale di Potenza ci porta quasi naturalmente a compulsare la rivista alla ricerca del contributo di Gaetano Cappelli, conoscitore – come molti potentini innamorati della propria città – delle singole pietre che disegnano il crinale alla sommità del capoluogo, delle sue fessure più o meno grandi da cui è possibile osservare squarci di verde montano — caso unico tra i capoluoghi italiani.«Quante volte mi è toccato sentirmi pietosamente dire: “Ah, sei di Potenza… Carlo Levi, eh, Cristo s’è fermato ad Eboli eh, la terra fuori dal tempo e dalla storia!». Una maledizione per Cappelli, che lo urla anche nel titolo del suo scritto, nel quale rivendica il genius dei suoi personaggi irridenti e ironici nel loro approccio alla vita, alla faccia della tristezza leviana.
Come si vede, il dibattito è aperto. E “Appennino” (sabato 20 e domenica 21 giugno la presentazione a Potenza e a Matera) lo stimola nel migliore dei modi. Con una veste grafica autorevole e semplice assieme (il lungo incipit tematico è sottolineato da un color terra altamente simbolico e abbraccia anche una ricca sezione fotografica e documentale), la rivista si ripromette di sviscerare altre questioni che si dipanano dalla questione “madre”, quella meridionale, che proprio Carlo Levi contribuì a porre all’attenzione nazionale. Negli intenti editoriali si pone l’obiettivo, già dalla scelta del nome dato alla testata, di puntare sulla verticalità geo-orografica che richiama per raccontare una modernità diversa da quella metropolitana e orizzontale quando non trasversale. Ecco che il fatto di essere pensata e realizzata in una regione come la Basilicata non potrà che rappresentare un valore aggiunto per la rivista: l’antropologia profonda di un passato che non passa mai (assolutamente da leggere il mini-saggio di Vincenzo Maria Spera sull’origine arcaica delle feste popolari) è destinata, col volgere dei decenni, ad aggiornarsi con un’altra narrazione fatta di robot, start-up e petrolio. La speranza è che “Appennino” possa contribuire a riportare, nel bene e nel male e auspicabilmente con lo strascico di pro-contro gemmato dalla produzione leviana, la questione meridionale in un’agenda politica che continua a snobbare il Sud.

e.furia@luedi.it

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