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Non è passata sotto silenzio, ma avrebbe meritato un’attenzione non superficiale la Cartolina di Natale 2014 della Parrocchia S. Paolo Apostolo di Matera: “Matera: Natale delle periferie”. Una cartolina di cui credo sia utile tornare a parlare nella Matera Capitale, perché si rivolge al cuore profondo di una città appena sortita dal grande evento e perché coglie l’essenza della riflessione moderna sulla natura della “periferia”.
Usata al singolare, la periferia (mentre l’uso corrente ne parla al plurale) evoca la particolare condizione di sofferenza sociale, la latitudine umana remota rispetto alle dinamiche del centro urbano, la subordinazione a un altrove che concentrerebbe potere e privilegi, insomma una “assenza” progettata e organizzata dentro la mappa gerarchica dei valori e delle intendenze.
“Si intende per periferia ciò che non conta -si legge nella cartolina- da sempre il potere economico, politico e religioso relega e subordina la gente. Matera, derubata di acqua, di mari e di monti, di boschi, di petrolio, di metano e gas, isolata e senza lavoro, vive dell’essenziale con il suo monumento dei Sassi, non asportabile, con la sua innata rassegnazione, senza reminiscenze e senza autocritica. Dall’estrema periferia di Betlemme, lontanissima dai centri di potere, venne la salvezza liberatrice di ogni male, spirituale e materiale: ecco la gioia del Vangelo”.
Vengono segnalate le responsabilità del “potere economico, politico e religioso”, vengono denunciate la spoliazione delle risorse naturali e la degradazione della dignità privata del lavoro, viene con straordinaria concisione evocata la potenza simbolica dei Sassi, “non asportabili”, luogo di antica rassegnazione, immersi in una felice smemoratezza.
La periferia viene chiamata, perciò, a testimoniare e a produrre il miracolo di una “lontananza” da una parte e di una “latenza” dall’altra, dalla cui dialettica potrebbe venire il lievito della rinascita e della “salvezza”.
Credo che meglio non si potesse utilizzare una metafora così potente e drammatica per segnalare l’urgenza di una autentica rigenerazione, fuori di ogni trionfalismo od autocelebrazione. L’urgenza di deporre gli abiti della festa per indossare costumi più modesti, più operosi e incisivi che rispondano meglio alle attese di una comunità che altro non chiede se non qualità e che pretende che dalla dissoluzione delle tante “famiglie di fatto” che ritengono di disporre dell’oligopolio del potere prenda forma la nuova città delle competenze, delle virtù civiche e dei valori solidaristici. Non è un caso che la Cartolina sia stata finora ignorata. In una città che può diventare una grande periferia, tributaria verso poteri esterni anche perché vittima di una sua estenuata impotenza. L’estensore del messaggio in bottiglia è don Nicola Colagrande, modesto eroe della “Periferia”, di cui conosco da tempo immemorabile ingegno e acuminata ironia, un intrepido operatore sociale (suo il Centro di accoglienza che a sue spese sta realizzando a Villa Longo), ma anche un ostinato costruttore di speranza contro ogni logica e convenienza.

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