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COSENZA – Isabella Internò rompe il silenzio. E’ l’ex fidanzata di Donato Bergamini, il calciatore del Cosenza morto nel novembre del 1989 perchè suicidatosi gettandosi sotto un camion sulla Statale 106 jonica, all’altezza di Roseto Capo Spulico. Era con lui in quella serata tragica e misteriosa. A distanza di anni scrive ai giornali una lettera in cui, dopo due inchieste giudiziarie, vuole ribadire di non aver avuto responsabilità nella morte del centrocampista rossoblù. E chiede «che sia dato il giusto risalto alla notizia della mia estraneità ai fatti che mi venivano contestati e, soprattutto, che si interrompa la speculazione mediatica sulla mia persona».

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«Capisco che la notizia della mia incriminazione avrebbe, certamente, permesso di vendere qualche copia in più – dice la Internò – ma ritengo iniquo che non sia stato dato lo stesso risalto mediatico al provvedimento di archiviazione, rispetto al circo imbastito negli anni precedenti». La donna poi se la prende con «professionisti (o pseudo professionisti) che per lucrare un tozzo di pane mistificano la realtà processuale, indirizzando delle piccole discrasie nell’unico verso che gli possa consentire di cavalcare l’onda emozionale causata dalla prematura dipartita di un ragazzo. Troppe sono state le persone che hanno speculato sulla morte di Denis, ma fin quando ciò è stato fatto nel rispetto delle regole e del comune senso del pudore, nulla quaestio. La speculazione diventa inaccettabile quando, a costo di negare la realtà, si instilla nelle menti dei lettori la cultura del sospetto».

Sono passati trent’anni, «trent’anni – ricorda la Internò – di indagini, processi, archiviazioni, congetture, fino alla decisione dell’archiviazione del 30 novembre del gip di Castrovillari. Decisione scaturita a seguito della richiesta di riapertura delle indagini formulata dai difensori della famiglia Bergamini ed apparentemente fondata su nuove consulenze e nuove testimonianze. Consulenze rivelatesi prive di fondamento e riscontro, testimonianze superflue e inconferenti. Sul punto, il provvedimento del giudice per le indagini preliminari è chiarissimo: “Inutile appare sentire ex novo persone che dovrebbero riferire in ordine a fatti riguardanti periodi antecedenti al momento della morte e, quindi, a scandagliare eventuali moventi dell’omicidio, dal momento che l’esame degli ultimi momenti di vita del Bergamini porta a escludere che vi sia stato un fatto omicidiario (…) quanto alle indagini proposte dalla difesa Anselmo e supportate da pubblicazioni scientifiche prodotte nell’udienza camerale, basterà osservare come il carattere solo sperimentale di talune tesi, che non risultano accreditate presso la comunità scientifica, le rende inutilizzabili».

«La cosa che di più mi ha colpito – scrive ancora la Internò – è che (come già mi aveva indicato il mio difensore), alcune testimonianze non strumentali alla “caccia alla strega”, bensì dirimenti al fine di dimostrare la mia innocenza, non venivano mai menzionate nella richiesta di riapertura indagini e nell’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. A tal proposito, riporto testualmente ciò che lo stesso gip ha scritto sul punto nel suo provvedimento: “Non si può non censurare la condotta del difensore degli opponenti, il quale, pur avendo individuato il testimone oculare circa due anni prima dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, ometteva di fornire tale informazione al pm e, anzi, nella richiesta di apertura delle indagini presentata alla Procura di Castrovillari il 13 giugno 2011, utilizzava l’argomento dell’inesistenza dell’automobilista di passaggio per screditare le dichiarazioni della Internò e la Cnr del maresciallo Barbuscio e ipotizzare uno scenario delittuoso, sostenendo la tesi secondo cui l’auto Maserati non era mai stata spostata dalla strada ove il Bergamini era costretto a lasciarla dai suoi aggressori”. Altro che ricerca della verità!».

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