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E’ diventato un giallo che da ventidue anni tormenta i familiari e i tifosi del Cosenza calcio: chi ha voluto Donato Bergamini morto e perché? Ora la nuova inchiesta aperta dalla procura di Castrovillari, tenta di far luce sulla morte oscura, che rischia di rimanere nel mistero. E potrebbe dare un nuovo impulso alle indagini il camionista Raffaele Pisano (nel riquadro), che sarebbe stato anche considerato morto, ed è l’autotrasportatore che avrebbe involontariamente investito Bergamini, che aveva deciso di uccidersi, l’uomo due volte assolto dai precedenti processi per omicidio colposo.

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La stessa famiglia di Denis, provata da anni di scarsa chiarezza, è pronta a tutte le ipotesi, pur di arrivare alla verità: anche a sostenere, eventualmente, che il giovane sia rimasto coinvolto in qualche giro sporco. Quel 18 novembre 1989, Bergamini è in ritiro con la squadra e mentre si trova con gli altri giocatori rossoblu al cinema Garden di Rende, in vista della partita contro il Messina, abbandona i compagni ed è lì che si apre il mistero. Michele Padovano, suo compagno di stanza, racconta che Denis ricevette una telefonata verso le 15 e 30 che lo «turbò moltissimo».

Il centrocampista Sergio Galeazzi ricorda di averlo visto uscire dalla sala prima che il film iniziasse, dunque verso le 16. Il resto della storia “ufficiale” è affidata al rapporto del brigadiere dei carabinieri Francesco Barbuscio della stazione di Roseto Capo Spulico, che il giorno successivo consegna al procuratore dell’epoca, Ottavio Abbate (attuale presidente del tribunale di Castrovillari) il rapporto con i rilievi dell’incidente e le dichiarazioni dei due testimoni oculari: la ex fidanzata e il camionista che lo investe. Isabella Internò, la sua ex ragazza, sottoscrive che «alle ore 16 Bergamini le aveva telefonato chiedendole di uscire perché doveva dirle delle cose importanti. E subito dopo con la sua auto, avendo la ragazza acconsentito, stava sotto la sua abitazione di Rende. Qui le aveva chiesto di essere accompagnato a Taranto perché doveva imbarcarsi dovendo lasciare l’Italia».

«Alle ore 17 e 30 – aggiunge Barbuscio – i due venivano fermati al posto di blocco, capeggiato dallo scrivente, per poi proseguire e fermarsi a circa 4 km da Roseto, esattamente al Km 401, in uno spiazzo posto sulla destra. Quivi hanno conversato sino alle ore 19 e 15 circa, e l’oggetto della conversazione, secondo l’assunto reso dalla I. (Internò) Isabella, aveva come oggetto la sua partenza dall’Italia, tanto che ebbe a dirle di tornarsene a Cosenza con la sua auto, mentre egli avrebbe chiesto l’autostop fino a Taranto. La ragazza gli raccomandava di desistere, anche in considerazione che pioveva e era buio, ma Bergamini usciva dall’auto senza indossare il giubbotto, nonostante la pioggia, e portandosi sul ciglio della strada accennava l’autostop a due vetture in transito, che non si fermavano. La ragazza, a quel punto, richiamava il Bergamini convincendolo a desistere e tornare a Cosenza, quando in quella circostanza la Statale 106, con direzione Taranto, veniva percorsa dall’autocarro Fiat 180 condotto da Pisano Raffaele, il quale aveva visto l’auto parcata fuori strada e una persona che vi stava davanti. Appena il pesante autocarro era giunto in corrispondenza della Maserati, Bergamini repentinamente si è lanciato buttandosi sotto la ruota anteriore del mezzo trascinandolo in avanti. Mentre il conducente del camion arrestava la marcia, la ragazza metteva in moto la Maserati e raggiungeva il mezzo credendo di trovare in vita il Bergamini e prestargli soccorso; la stessa cosa veniva pensata dal conducente Pisano Raffaele, che arrestato il mezzo, manovrava in retromarcia per circa 50 centimetri, ma entrambi non hanno potuto fare altro che constatare la morte per schiacciamento del bacino. Appena arrestato il camion, manovrava in retromarcia credendo di poterlo salvare, quando veniva raggiunto dalla ragazza, la quale ebbe a dirgli: «E’ il mio ragazzo. Si è voluto suicidare».

Dopo di ciò la ragazza con un mezzo di passaggio si era portata a Roseto Capo Spulico Marina (nel bar di Mario Infantino per telefonare) mentre il conducente ha atteso l’arrivo dei carabinieri, mettendosi completamente a disposizione della giustizia». Una versione dei fatti che, sebbene con qualche importante variazione nella dinamica, è stata convalidata dai processi di primo e secondo grado per omicidio colposo a carico di Pisano, infine assolto. La famiglia Bergamini non ha mai creduto a quella versione. La nuova inchiesta aperta a Castrovillari dal procuratore Franco Giacomantonio sulla base di un corposo dossier prodotto dall’avvocato di Ferrara Eugenio Gallerani punta a dimostrare che in realtà si trattò di omicidio volontario. Ma è impresa ardua poiché molti dei possibili testimoni sono ormai morti – come il factotum e il magazziniere del Cosenza Domenico “Mimmolino” Corrente e Alfredo Rende, deceduti alcuni mesi dopo Denis sulla stessa strada 106 – o solo ritenuti morti, come il camionista. Raffaele Pisano, infatti, viene dato per morto da ormai molti anni ma invece è vivo ed abita ancora nella sua casa di Rosarno. Dal 2000 è un pensionato che incassa l’assegno dell’Inps presso l’ufficio postale di Palmi. Nella nuova indagine riaperta dalla procura di Castrovillari, Raffaele Pisano potrebbe figurare solo come testimone oculare, semmai si presenterà.

La famiglia di Denis non si arrende: «Perché il corpo intatto?» I carabinieri del Ris di Messina sono ancora al lavoro sulla Maserati e gli altri effetti personali di Denis Bergamini, le scarpe, un orologio e la catenina d’oro che il calciatore ventisettenne portava il giorno in cui – secondo la verità giudiziaria congelata nella sentenza del ’92 – si sarebbe gettato sotto un camion, sulla statale Jonica, nei pressi di Capo Roseto Spulico. E sarebbe stato trascinato per una cinquantina di metri – sempre secondo la stessa sentenza che ha preso per buone le parole degli unici due testimoni: l’ex fidanzata del centrocampista del Cosenza, Isabelle Internò, e Raffaele Pisano, il camionista di Rosarno alla guida del pesante mezzo. Eppure – hanno sempre sostenuto i familiari del calciatore – su quei tre oggetti non c’è mai stata traccia di un incidente, né segni di trascinamento. Il corpo di Denis dopo il presunto impatto non era come venne fatto credere ai familiari, «completamente spappolato».

L’autopsia tardiva – fatta 50 giorni dopo a Ferrara poiché all’indomani della tragedia i parenti sono stati sconsigliati dalla dirigenza del Cosenza calcio ad allungare l’iter giudiziario che li avrebbe trattenuti in Calabria per più tempo – rivelerà che l’unica ferita sul corpo è sul fianco destro; mentre, se fosse vera la dinamica raccontata dai testi, dovrebbe trovarsi su quello sinistro. E poi «pioveva» raccontò, correttamente, l’ex fidanzata; ma le scarpe di Denis, e le ruote della Maserati sono pulite nonostante la sosta nella piazzola fangosa a margine della statale. E, infine, gli orari: un’ora e mezza per percorrere il tratto Rende-Roseto e due ore di discussione in macchina fanno le 19 e 30 verbalizzate da Barbuscio; ovvero buio pesto, a novembre. Mentre il barista Mario Infatino – dove lsabella Internò accompagnata da un uomo (mai identificato) va a telefonare al tecnico Roberto Ranzani, al calciatore Francesco Marino, e alla propria madre (mai interrogata) – dichiara: «era ancora giorno, fuori si vedeva. bene». Questi aspetti, insieme all’incongruenza dei racconti dei testimoni; le discrepanze negli orari e nelle dinamiche appurate con la prima inchiesta, sono l’oggetto esclusivo dell’indagine ora in corso a Castrovillari. Ma solo dopo l’esito dei rilievi scientifici, l’ufficio ddella Procura guidata da Franco Giacomantonio potrà sciogliere la riserva è dire sì, di omicidio si è trattato e non di suicidio.

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