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IL CASO Fenice, il più grande scandalo ambientale lucano, che ha visto coinvolti sia la società che gestisce il termodistruttore di San Nicola di Melfi, che la Regione, e in particolare l’Agenzia regionale per l’Ambiente, finisce nuovamente sulla scrivanie dei tavoli ministeriali. E’ il sottosegretario Marco Flavio Cirillo  a rispondere all’interrogazione presentata dalla deputata lucana del Movimento 5 Stelle, Mirella Liuzzi, insieme ai colleghi De Rosa, Tofalo, Terzoni, Mannino, Zolezzi e Busto.

All’attenzione degli uffici ministeriali non solo il grave inquinamento decennale che si è venuta a creare e che ancora oggi – sostengono i deputati grillini – è tutt’altro che risolto, con i monitoraggi delle falde acquifere dai quali emerge ancora la concentrazione, oltre alle soglie fissate da legge, di sostanze altamente tossiche. Ma anche le problematicità che si sono venute  a creare intorno al piano di bonifica presentato dalla società che gestice l’impianto. I deputati del Movimento Cinque Stelle chiedono innanzitutto quali iniziative i ministri interroganti  intendano assumere per verificare l’entità dei possibili danni all’ambiente prodottisi nel tempo e per monitorare e tutelare la salute della popolazione locale dagli effetti delle emissioni inquinanti. E ancora se non ritengano doverosa la nomina di un commissario ad acta, «affinché, sulla base di un piano di caratterizzazione dell’intera area sottesa all’inceneritore Fenice, venga attuata la bonifica dell’area con oneri a carico dell’ente inadempiente». E se ancora, anche sulla base di precedenti esperienza nazionali,  non intendano rafforzare con urgenza e con decisione i parametri di tutela ambientale e le conseguenti azioni in caso di superamento dei valori limite, con particolare riferimento alle emissioni di diossina.

Di seguito pubblichiamo la risposta del sottosegretario Cirilli:

 

Le problematiche ambientali che investono l’impianto termovalorizzatore La Fenice di Melfi,  sono da tempo all’attenzione degli enti territoriali competenti, degli organi tecnici e di questo Ministero.

La Fenice spa, nel marzo 2009, rese noto agli enti territoriali la presenza di una contaminazione nelle acque di falda.

Nel successivo mese di aprile fu trasmesso il piano di caratterizzazione dei suoli e delle acque. Il suddetto piano è stato approvato, con prescrizioni, nel giugno 2009. Nel febbraio 2010 la conferenza di servizi ha espresso parere favorevole. Nel 2011 è stato presentato il progetto operativo di bonifica in merito al quale il tavolo tecnico ha chiesto anche il parere dell’Ispra. Relativamente agli interventi di messa in sicurezza d’emergenza (MISE), si evidenzia che nel periodo tra il 2009 e il 2011 sono stati realizzati interventi mirati alla rimozione delle potenziali sorgenti di contaminazione.  Nelle aree a maggiore contaminazione, invece, sono stati installati 14 pozzi d’emungimento delle acque di falda trattate in un impianto appositamente realizzato. Nell’area a maggiore presenza di solventi contaminati è stato installato un impianto bonifica in sito dell’acqua di falda basato sulle tecniche di «air sparging – soil vapor extraction». Sono stati, inoltre, realizzati alcuni interventi impiantistici. Relativamente alla contaminazione delle acque sotterranee, l’Arpab ha effettuato periodicamente monitoraggi sui piezometri installati a valle idrogeologica della barriera (P1-P9).

La direzione generale competente, con nota prot. n.7251 del 14 marzo 2012, ha richiesto agli enti territoriali competenti nonché all’Arpab ed alla prefettura di Potenza aggiornamenti sulle attività e sulle misure poste in essere per il ripristino ambientale dei luoghi.

Il 22 marzo 2012, l’ufficio territoriale di Governo della prefettura di Potenza ha informato sulla conferenza di servizi, riunitasi presso il comune in data 28 novembre 2011 per la riesamina del progetto di bonifica e per la valutazione delle analisi di rischio presentato dalla società Fenice ambiente s.r.l. Nel corso della quale è stato dato parere favorevole alla realizzazione degli impianti pilota previsti nel progetto. Successivamente, in data 2 dicembre 2011, la Fenice Ambiente s.r.l.,  ha richiesto il riesame delle decisioni assunte e la convocazione di una nuova riunione della conferenza di servizi, per l’esame del precedente progetto di bonifica del 18 ottobre 2011. La regione Basilicata ha contestato tutti i rilievi sollevati dalla società nella memoria, confermando il parere espresso nella conferenza di servizi del 28 novembre 2011.

Con delibera n.59  il comune di Melfi ha approvato il verbale della conferenza di servizi, chiedendo al soggetto obbligato la formulazione, nei termini di quindici giorni di una proposta di cronoprogramma di adeguamento del progetto di bonifica secondo le prescrizioni della conferenza di servizi. Il sindaco del comune ha approvato la proposta presentata dalla società, la quale prevedeva «attività preliminari» ed «interventi di bonifica», ma al tempo stesso ha rilevato delle attività difformi dalle prescrizioni impartite e pertanto ordinato al gestore dell’impianto di porre in essere una serie di attività preliminari.

Con il suddetto provvedimento, inoltre, il comune ha precisato che l’eventuale inottemperanza delle prescrizioni previste avrebbe comportato l’azione in danno di Fenice Ambiente s.r.l. Considerato che i monitoraggi effettuati precedentemente dall’Arpab, nel mese di gennaio 2012, hanno riscontrato il superamento di nuovi contaminanti, la Fenice Ambiente s.r.l.  ha comunicato alla prefettura di Potenza il suddetto superamento, specificando «l’estraneità o il nesso causale con l’attuale stato di contaminazione e con le attività di bonifica». Al fine di ottemperare alle prescrizioni previste dalla richiamata ordinanza, la società ha dapprima trasmesso in data 17 febbraio 2012 i risultati della «Sperimentazione in laboratorio».

Dal documento si evince che si è proceduto all’esecuzione delle prove di laboratorio per verificare eventuali variazioni di solubilità di alcuni metalli nell’acqua di falda e nel terreno.

(la risposta del sottosegretario descrive, passaggio per passaggio, tutta la cronistoria degli interventi messi a punto dai soggetti coinvolti)

Relativamente ai superamenti di manganese e nichel, a livello dei pozzi di monitoraggio P1-P9, la società ha giustificato i dati rilevati con lo stato anossico instauratosi in questi piezometri per effetto della scarsa circolazione idrica indotta dalla barriera.

A sostegno di questa tesi la società ha eseguito nuovi piezometri (serie PM) in prossimità dei P1 e P9 ed ha fornito i risultati delle analisi eseguite sulla matrice acque sotterranee. I risultati forniti indicano che i piezometri serie PM comunque riscontrano superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) del nichel in quattro dei nove pozzi realizzati, del ferro in sette pozzi dei nove, dei manganese in sei pozzi dei nove (dati febbraio 2013).

Per questi motivi la tesi della società non è stata sufficientemente avvalorata dai suddetti risultati. La mancanza delle quote e delle coordinate dei punti ancora una volta non consente di eseguire confronti ed avere la certezza che la serie PM sia idrogeologicamente equivalente alla serie P1-P9; allo stato attuale il confronto stratigrafico delle due serie non è rigorosamente eseguibile. La Regione Basilicata ha sottolineato come «il tentativo della società di escludere proprie responsabilità in merito al superamento nelle acque sotterranee delle Csc relative ai metalli ed in particolare al MN è stato ritenuto inaccettabile, in quanto l’associazione di questi elementi con gli impianti di incenerimento rifiuti è inequivocabilmente stabilita nell’allegato 1 del decreto legislativo 133 del 2005. Il richiamo all’allegato 1 alla parte IV del decreto legislativo n.152 del 2006 in merito all’ammissibilità dei valori maggiori rispetto alle Csc relative ai metalli nelle acque sotterranee per effetto «del fondo naturale» e «dell’inquinamento diffuso» non è condivisibile, in quanto all’interno del sito i superamenti delle Csc riscontrati sono prevalentemente associati a contestuale superamento di composti organo-alogenati (27 postazioni su 37). Tale evidenza, come indicato nelle linee guida Apat-Ispra protocollo per la definizione dei valori di fondo), dimostra all’interno del sito una pressione antropica che può avere alterato lo stato geochimico del sito. Allo stato attuale non è possibile escludere che le condizioni ossidoriduttive, ipotizzate dalla società come la causa dell’inquinamento delle acque sotterranee da metalli, siano determinate dagli altri inquinanti massicciamente dispersi in epoca pregressa. Le analoghe ipotesi sui floruri sono risultate in contrasto con i risultati degli accertamenti svolti da Arpab sulle acque di processo.

 Anche la provincia si è uniformata al parere della regione, condividendone valutazioni, proposte e relative richieste. L’Arpab ha confermato la necessità di interventi di bonifica, che deve essere svolta dall’azienda Fenice, previa acquisizione di apposita progettazione. Da ultimo, si segnala che in relazione alle indagini giudiziarie sull’inquinamento originato dal malfunzionamento del termovalorizzatore, il procuratore della Repubblica di Potenza – a seguito delle indagine del NOE di Potenza – ha riferito che per la vicenda è stato iscritto il procedimento penale già pendente presso la procura della Repubblica di Melfi, trasmesso all’ufficio requirente di Potenza, per competenza territoriale.

Nel corso delle indagini è stata formulata richiesta di applicazione di misure personali restrittive ed interdittive in relazione al reato di disastro ambientale. Con ordinanza dell’11 ottobre 2011, tale richiesta veniva accolta dal GIP nei confronti di quattro persone. Con richiesta di rinvio a giudizio del 17 febbraio 2012, veniva esercitata l’azione penale nei confronti degli indagati ritenuti responsabili del reato suindicato ed attualmente il procedimento pende nella fase dell’udienza preliminare, celebratasi il 21 giugno 2013. Sarà cura, pertanto, della direzione competente acquisire gli atti relativi al suddetto procedimento penale e attivare le necessarie iniziative per il risarcimento del danno ambientale, ove all’esito di opportuno accertamento e valutazione tecnica di ISPRA, ne sussistano i presupposti di legge. .

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