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Presto sull’omicidio Fortugno si saprà la verità; l’approfondimento di indagine sul rapporto della Squadra mobile del 2005, sull’intercettazione raccolta all’interno dell’abitazione di Prato in cui don Mico Libri che stava scontando la sua pena, è concluso. La verifica, però, non avrebbe sortito gli esiti sperati da Maria Grazia Laganà. Il fascicolo, curato dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è pronto per essere spedito a Roma, ma non serberebbe nessuna novità di fatto sugli scenari ancora oscuri dell’omicidio di Franco Fortugno.
Le attese della famiglia e dell’opinione pubblica, comunque, dovrebbero trovare soddisfazione entro mercoledì prossimo. A metà settimana, infatti, l’esito degli accertamenti dovrebbero finire sulla scrivania del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Beppe Pisanu.
La brevità dei tempi è stata confermata, ieri mattina, anche dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che, intervenendo al dibattito che si è svolto presso la Casa della cultura di Locri nell’ambito della commemorazione del sesto anniversario della morte di Franco Fortugno, non si è sottratto alle domande poste dalla giornalista Tiziana Ferrario. «Ci sono state – ha detto Grasso – delle indagini che abbiamo concluso. Ora bisogna avere pazienza e tra alcuni giorni si saprà se quella telefonata è legata al caso Fortugno». E il procuratore nazionale antimafia non è voluto andare oltre nella sua disamina dei fatti, anche perchè facendo diversamente si potrebbe rischiare di intralciare qualche processo in atto.
Una risposta indiretta alla pressante richiesta che, solo pochi minuti prima, aveva fatto dallo stesso palco Maria Grazia Laganà. «Sono passati sei anni dall’assassinio di Franco, ma – lo dico molto chiaramente – noi non l’abbiamo ancora avuta pienamente. Troppe risposte non date. Troppe omissioni, troppe stranezze, troppi tentativi di chiudere in fretta, il più velocemente possibile, la questione. Per coprire chi o che cosa?».
«Io – ha detto ancora la vedova di Franco Fortugno – non ho ancora avuto giustizia, ed è solo quella che chiedo, perché non mi posso accontentare di una verità processuale parziale, che non arriva a definire compiutamente il quadro politico, affaristico e mafioso in cui il delitto di mio marito è maturato. Ribadisco: politico, affaristico e mafioso. Mi chiedo, e chiedo a voi: perché è stata insabbiata l’informativa in cui il boss Libri anticipava il delitto Fortugno il 13 ottobre 2005, cioè tre giorni prima che Franco venisse strappato per sempre a miei figli e a me, e la nostra vita venisse sconvolta per sempre?».
«Continuo a chiedere a gran voce – ha concluso – a sei anni di distanza, giustizia. Giustizia piena, fino in fondo. spero tanto che un giorno questo Paese mi dimostri di essere un vero Stato, e non una banda di briganti».
Su quella intercettazione i consulenti tecnici e gli investigatori della Mobile ci hanno lavorato a fondo, l’hanno ascoltata e riascolta; hanno utilizzato gli strumenti tecnici più moderni e l’hanno depurata di tutte le interferenze, rispettando le richieste del procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. «E’ stato richiesto alla Squadra mobile di Reggio Calabria – scriveva Pignatone in una missiva alla Commissione antimafia – un’ulteriore attività investigativa su tutte le persone e i fatti che emergono o emergeranno dalla conversazione in esame».

L’appello del vescovo Morosini: «La guardia resti alta»
Numerosi i cittadini che hanno partecipato alla giornata di commemorazione del vice presidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno, in particolare che hanno preso parte alla santa messa, celebrata dal vescovo della Diocesi di Locri – Gerace, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini. Una celebrazione che ha reso il senso del raccoglimento e del ricordo della famiglia.
Una commemorazione che, come ha sottolineato la vedova, Maria Grazia Laganà, nella mattinata, «significa oggi, dopo questi sei anni, andare oltre il semplice ricordo. Fosse solo per quello, naturalmente, nei miei figli e in me prevarrebbe il desiderio di vivere questo momento, per noi sempre molto doloroso, nella maniera più intima possibile».
«Ma c’è un’altra esigenza, più importante, che noi avvertiamo il dovere di contribuire a soddisfare, tenere alta la guardia sui temi del contrasto alla criminalità organizzata e ai poteri forti, della giustizia, dell’agibilità democratica di una regione che, come ha ricordato Papa Benedetto XVI, vive in condizione di perenne emergenza».
Il vescovo della diocesi di Locri – Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, nell’omelia ha puntato l’attenzione sulla necessità di vivere nell’ottica della fede e della resurrezione, chiedendo alla famiglia di mantenere salda la fede e a tutti i presenti di dare un senso a questi eventi, se si vuole bene a questo territorio: «Se non ci fosse questo sguardo che va oltre, verso la resurrezione, sarebbe una celebrazione vuota. Si deve ricordare il passato avendo la consapevolezza che questa persona vive in Dio». Ricordando un episodio della propria vita, la perdita della sorella, ha sottolineato come, di fronte al dolore di una perdita, la fede di una persona, può vacillare, cosa della quale il prelato dice di non dover avere vergogna, qualcosa di naturale.
«Il cristiano che guarda nell’ottica della fede, sa che il male, nonostante l’iniziale morsa, non vince. Il silenzio della tomba dura poco, poi la forza di Dio riprende vigore».

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