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REGGIO CALABRIA – L’inquietante episodio denunciato negli scorsi giorni che ha riguardato il figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri (LEGGI L’ACCADUTO) ha destato forte preoccupazione tra gli inquirenti tanto che sono state immediatamente prese decisioni volte a tutelare il giovane.

Il figlio del magistrato, infatti, è stato messo sotto tutela. La decisione, secondo quanto si è appreso, è stata presa in sede di Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica dopo che due persone incappucciate hanno suonato al campanello dell’edificio in cui abita a Messina. Inoltre, anche il dispositivo di tutela del procuratore aggiunto di Reggio Calabriaè stato ulteriormente rafforzato.

Gratteri è da anni sotto scorta per le tante minacce ricevute nel corso della sua attività di magistrato impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, ai traffici internazionali di droga, ed ai rapporti con i cosiddetti colletti bianchi.

LE INDAGINI – Intanto gli investigatori chiamati a chiarire l’episodio starebbero cercando di verificare se alcune delle telecamere di videosorveglianza presenti nella zona possano avere ripreso immagini utili alle indagini. Anche se nessuna ipotesi viene al momento esclusa, l’idea degli investigatori, secondo quanto si è appreso, sarebbe che si sia trattato di un modo subdolo della ‘ndrangheta per lanciare un messaggio a Gratteri, impegnato in delicate indagini sulle cosche ed i loro rapporti con i cosiddetti “colletti bianchi” oltre all’attività nel narcotraffico. Ad una prima lettura dell’episodio, infatti, pare strano che i due abbiano suonato solo casualmente al campanello del figlio di Gratteri. Inoltre si sono presentati come agenti di polizia che, altra circostanza che difficilmente viene ritenuta una casualità, è il Corpo che cura la scorta del magistrato. I due, una volta al piano del figlio di Gratteri sarebbero poi fuggiti, forse perché si sono resi conto che davanti la porta d’ingresso dell’appartamento c’è un cancello metallico che era chiuso.

Secondo quanto ricostruito, i due non avrebbero detto niente, le indagini sull’episodio sono condotte dai carabinieri di Messina con il coordinamento della Procura siciliana.

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