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Ho camminato a piedi per 100 giorni. L’ho fatto in una città, Potenza, che poco si presta a questo tipo di impresa. Il suo essere sviluppata in salita non rende certamente agevole un’attraversamento pedonale. A chi, incontrandomi, mi chiedeva il perché di questa mia scelta, ho sempre risposto che era prima di tutto un’esigenza, poi una scelta. Esigenza dettata dal bisogno di riallacciare un nodo di vita e di cittadinanza con questa città, che ho spesso frequentato e mai abitato a pieno. Aveva insomma bisogno di alcune risposte a nuove domande. Se pensiamo alle nostre città, le domande che vengono fuori sono tante. Dalla belezza, alla sicurezza, dalla qualità della vita, a quella dei servizi. Soprattutto su quest’ultimo tema, l’era digitale impone una seria riflessione sul nostro vivere la dimensione urbana, a partire dal rapporto tra noi cittadini e la pubblica amministrazione, in alcuni contesti ancora bloccato su dinamiche 1.0. La rivoluzione digitale annunciata con Italia Login, la casa online del cittadino, può velocemente ridurre questo “spread”, che amplifica sempre più la distanza tra i cittadini e gli amministratori pubblici. Ma le città sono molto altro ancora. Le città, che spesso rappresentano solo il perimetro fisico della nostra quotidianità, offrono agli uomini infiniti spazi di azione e di immaginazione. Di creatività e di azione. Ed è partito proprio da qui lo storytelling fotografico urbano #euapiedi. L’hashtag si spiega subito: “eu” in portoghese vuol dire io e sta proprio a rimarcare la centralità della singola persona nella moltitudine urbana. Ma “Eu” vuol dire anche Europa, lo spazio di cittadinanza che la mia generazione ha conosciuto da subito. Su Instagram, giorno dopo giorno, questo piccolo diario di vita urbana ha iniziato ad arricchirsi di angoli e suggestioni che solo l’attraversare a piedi le città può raccogliere. L’idea, certamente non originale, parte da una esigenza molto chiara: smettere di frequentare gli spazi urbani ed iniziare ad abitarli, raccontandoli in prima persona. Le città sono state raccontate in tanti modi, ognuna con una metrica diversa e con obiettivi specifici. Nessuno, finora, aveva mai raccontato l’esperienza di vita delle persone nel contesto urbano, a partire dalle sensazioni, dalle emozioni, dalla ricerca della bellezza e dalla reazione al degrado. Non quello dei cantori digitali, dei troll, degli urlatori da timeline e dei professionisti del “No”, ma quello reale. Dopo soli pochi giorni, questo racconto di Potenza ha iniziato a contaminare il web, rendendo l’hashtag condiviso e virale. Da più parti in Italia la narrazione digitale assumeva il carattere distintivo del tema scelto per la città di Potenza, crescendo giorno dopo giorno. Quello che voleva essere un “luogo” di narrazione digitale di una sola città si è trasformato ben presto in un’azione collettiva e partecipata che ci sta dando una mappatura, in tempo reale, dello stato delle cose nelle città. Ad oggi, dopo questi 100 giorni, il racconto digitale delle città attraversate a piedi ci porta da New York al Brasile, fino alle grandi capitali europee. Non è azzardato dire che #euapiedi ha messo Potenza al centro del mondo, visto che è dal capoluogo lucano che è partita questa storia di positività e ricerca della bellezza urbana. Nelle condizioni difficili di vita amministrativa e politica in cui Potenza versa da qualche tempo a questa parte, non è sicuramente mainstream provare a fare una contro-narrazione della città a partire dai suoi elementi di positività: la qualità della vità, della sicurezza, il suo essere piccola e quindi quotidianamente e totalmente a disposizione dei suoi cittadini. Ma c’è di più, perchè provare a tirar fuori il bello di una città non è solo uno sforzo estetico, ma un fatto serio e molto politico. Ne parlava Innocenzo Cipolletta sulle colonne del Sole 24 Ore qualche settimana fa: “Nei giorni scorsi il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha lanciato una proposta che vale la pena di riprendere: anche in vista del prossimo Giubileo, facciamo un’operazione di rifacimento delle facciate delle nostre città con un incentivo fiscale per favorire l’operazione. Una cosa simile venne fatta a Roma, in occasione dell’ultimo Giubileo da parte del sindaco Rutelli e la città risultò per alcuni anni più bella, più pulita e più sicura. La proposta di Franceschini va nella direzione giusta e forse è bene agganciarla a qualche scadenza, come il Giubileo, e a qualche incentivo fiscale per non sembrare una nuova tassa. È da sperare che essa venga accolta e, soprattutto, sollecitata dai sindaci delle nostre città. Il sindaco di Roma Ignazio Marino ha previsto incentivi per eliminare la selva orribile di antenne televisive che spuntano dai tetti e dalle finestre dei nostri immobili, spesso abbandonate dai vecchi inquilini e raddoppiate dai nuovi, in una sequenza che rende Roma più simile a una periferia africana che a una città moderna. Sarebbe veramente importante che una simile lodevole iniziativa si coniugasse con un progetto più articolato, come quello proposto da Franceschini. Con esso si potrebbe avviare un nuovo regime, dove i rifacimenti delle facciate e la messa a norma degli immobili non sia più il prodotto di qualche buon ministro o sindaco, bensì un obbligo civile a cui tutti si devono periodicamente attenere. Se in Italia ci fosse una norma che obbligasse il rifacimento delle facciate ogni 10 anni, le nostre città sarebbero più belle e si creerebbe un mercato importante e prevedibile di lavori urbani. Nascerebbero nuove imprese che svilupperebbero nuove tecnologie, nuove professionalità e nuovi occupati. Ne beneficerebbe il turismo e aumenterebbe la qualità della vita dei cittadini. Esporteremmo in futuro capacità di ammodernamento degli immobili, cosa che sarà richiesta da tutte le metropoli del mondo.” A queste considerazioni di Cipolletta se ne possono aggiungere molte altre, legate soprattutto al sviluppo digitale dei servizi per i cittadini e alla nascita, propio a Potenza, di luoghi in cui l’innovazione può generarsi ed espandere. Come può Potenza agganciare, con urgenza, il treno in corsa di Matera2019? Come può oggi questa città essere al fianco della capitale europea della cultura, oggetto di attenzioni mediatiche internazionali che ne raccontano storia e bellezza? Quale ruolo può assumere Potenza, ad esempio, nella Basilicata terra di Cinema in cui la settima arte è ormai elemento di crescita economica non più potenziale? In questi giorni di cammino urbano e storytelling digitale, ho avuto modo di incrociare nomi e congnomi che hanno fatto la storia di questa città, di scoprire storie di personaggi illustri che rappresentano i pilastri su cui il futuro deve poggiarsi. Penso a Vittorio Camardese, Giandomenico Giagni, Vito Riviello, Orazio Gavioli, Ester Scardaccione. Le parole di alcuni di questi grandi nomi hanno accompagnato il mio passeggiare e narrare, che oggi è raccolto sul blog “Io vado a Piedi” Di questi 100 giorni restano molte emozioni ed una consapevolezza, che possiamo dire meglio con le parole di Italo Calvino: “Forse bisogna che un luogo diventi un paesaggio interiore in modo che l’immaginazione prenda a vivere quel luogo a farne il proprio teatro.” L’immaginazione, che è una forma di coraggio, sa anche essere elemento di forte ispirazione per cambiare verso alle cose, per costruire nuovi scenari e scrivere politiche illuminate. Il contributo dato con “Io Vado a Piedi” vuole essere proprio questo, uno stimolo alla riflessione ed un incoraggiamento all’azione diretta. Perchè più che la città dell’apparenza, Potenza è la città dell’indifferenza. E questo mi fa molta paura. Le domande che questo storyelling vuole suggerire sono: chi può davvero permettersi di muoversi in città a piedi, senza correre rischi? Qual è il livello di sicurezza nelle nostre città? E’ tutto vero quello che ci viene raccontato del degrado urbano? Siamo davvero abitanti delle nostre città, o ci limitiamo a frequentarle? Possiamo essere noi cittadini, in prima persona, i promotori di una narrazione positiva delle nostre città, tale da attrarre l’attenzione di turisti e “abitanti culturali”? Questo osservatorio digitale può dirci molto altro ancora, su questi e su altri temi, come: l’uso degli smartphone, la connettività, la banda larga, lo street food, il commercio di prossimità, l’architettura urbana, il “made in”, il rispetto degli spazi urbani da parte dei cittadini. L’attenzione mediatica nazionale suscitata da #euapiedi ci dice che la strada intrapresa è quella giusta. Chi volesse unirsi al nostro racconto non deve fare altro che uscire di casa, leggere il codice della propria città a piedi, da soli, cercare sul campo i segni di sè stessi e del proprio vivere urbano, e raccontarlo attraverso i social network con #euapiediDa dove si comincia? I muscoli si tendono. Una gamba è il pilastro che sostiene il corpo eretto tra cielo e terra. L’altra, un pendolo che oscilla da dietro. Il tallone tocca terra. Tutto il peso del corpo rolla in avanti sull’avampiede. L’alluce prende il largo, ed ecco, il peso del corpo, in delicato equilibrio, si sposta di nuovo. Le gambe si danno il cambio. Si parte con un passo, poi un altro e un altro ancora che, sommandosi come lievi colpi su un tamburo, formano un ritmo: il ritmo del camminare. La cosa più ovvia e più oscura del mondo è questo camminare, che si smarrisce così facilmente nella religione, la filosofia, il paesaggio, la politica urbana, l’anatomia, l’allegoria e il crepacuore. “ (Rebecca Solnit da “Storia del camminare”)

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