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La BuonaScuola ce l’ha fatta. Passato dalle “Forche Caudine” di Palazzo Madama, il provvedimento ha ora la strada spianata.
La fine dell’iter più intricato diviene l’occasione per guardare il tutto con occhi più sereni e porsi l’unica domanda che nessuno ha posto, quella che interessa davvero a famiglie e studenti: come cambia la scuola adesso?

LA CHIAMATA DIRETTA

E’ il punto che ha fatto più discutere, quello dei cosiddetti “presidi sceriffi”, con potere di conferimento degli incarichi. E’ molto ridimensionato rispetto al testo iniziale: non sono toccati i docenti già in ruolo, a meno che non si ritrovino a essere perdenti posto o decidano di trasferirsi. Non riguarderà neppure tutti i 47 mila docenti assunti quest’anno su posti vacanti, ma solo i 55 mila dell’organico di potenziamento (leggasi a seguire).

Tutti ne hanno immaginato le possibile degenerazioni, nessuno ha fatto emergere le opportunità virtuose che potrebbero derivarne. Qualche esempio. Un Dirigente Scolastico che abbia nel progetto della propria scuola laboratori di giornalismo o un giornale scolastico, potrà ricercare negli albi coloro che abbiano titoli, esperienze e competenze professionali nel settore, anziché affidarsi a chi non ne sa nulla. Per un progetto di scuola che voglia porre attenzione particolare alla creazione di itinerari formativi, potrà scegliere tra i docenti quelli abilitati alla professione di Guida Turistica o con esperienze nel campo. O, se vorrà implementare l’insegnamento delle discipline non linguistiche in lingua straniera, potrà selezionare docenti che abbiano certificazioni di quel tipo, etc. Insomma, non c’è solo la possibile narrazione del preside che chiama la docente fascinosa, o quello che risponde a logiche politiche e/o clientelari o sceglie il parente ( anche perché non si potrà farlo, fino al secondo grado per parenti e affini).E’ da chiarire un altro equivoco. I docenti non scelti da alcun Dirigente saranno assegnati d’ufficio ad altra scuola dagli Ambiti territoriali, non licenziati, come qualcuno aveva strumentalmente paventato. Gli stessi Dirigenti Scolastici, poi, saranno valutati. A tale scopo, per il triennio 2016-2018, saranno affidati incarichi ispettivi a tecnici del ministero dell’Istruzione. A nuovi poteri corrispondono nuove responsabilità. Converrà, a loro stessi, scegliere con logiche clientelari?

LE ASSUNZIONI
I famosi 100 mila. Sulla base delle ultime stime, la cifra dovrebbe essere di 102.734: quasi 47 mila su posti vacanti, 55 mila per il cosiddetto organico dell’autonomia. Per la Basilicata, il solo organico dell’autonomia (i posti “in più”), dovrebbe dare lavoro a tempo indeterminato a 767 unità più 50 per il sostegno. E’ il piano di assunzioni più imponente della Seconda Repubblica: in ogni scuola ci sarà una media di sette docenti in più a tempo indeterminato. Le assunzioni riguarderanno tutti gli iscritti nella graduatoria di merito del concorso 2012 (compresi quindi anche degli idonei, in un primo momento esclusi) e gli iscritti alle cosiddette Graduatorie ad esaurimento.

Perché proprio le Graduatorie a Esaurimento? Perché non includere anche i docenti abilitati con Tfa e Pas, creando un’apparente disparità? Non è un pallino di Matteo Renzi, o un modo per sistemare sua moglie Agnese iscritta nelle Gae (come miseramente si è sentito dire). C’è un motivo fondato che tiene conto del quadro normativo vigente. Il riferimento essenziale è il Decreto legislativo 297/94, cosiddetto Testo Unico. Specifica chi può andare in ruolo: il 50% da concorso, il 50% da Graduatorie Permanenti (poi divenute a Esaurimento nel 2006, con il Ministro Fioroni). Il passo successivo, e decisivo, è quello della Legge 306/2000, che ha sancito il valore concorsuale ai titoli Siss e quindi, di conseguenza, alle Gae, composte da idonei ai concorsi e abilitati Ssis. Ebbene, per le abilitazioni Tfa e i Pas questo valore concorsuale non è stato riconosciuto da alcun iter parlamentare. Questa la differenza.

IL RITORNO AL CONCORSO

Da dicembre di quest’anno si torna alla vecchia modalità del Concorso. Il Bando è previsto per il prossimo dicembre, con la previsione di punteggi aggiuntivi legati al servizio e al titolo abilitante: un modo per rispondere, seppur in parte, alle istanze dei precari esclusi dal provvedimento ma che lavorano da tempo.

Anche qui la domanda, perché? Perché non tenere viva la speranza per gli altri abilitati Tfa e Pas, come ipotizza per esempio, il M5S, che nel suo documento sulla scuola propone per loro un piano di assunzioni quinquennale? È la posizione che crea più consenso, andando a blandire una platea legittimamente arrabbiata. Si consideri, però, che una simile scelta reitererebbe il problema che ora si vuole sanare (e che non ha creato certo questo Governo): se il criterio rimanesse quello di assumere i precari e non di coprire i posti, in pratica si continuerebbe a creare posti per dare lavoro e non a occupare quelli che effettivamente emergono dalle esigenze della scuola. Sarebbe poi giusto, per altri cinque anni, impedire una chance a chi sta laureandosi o lo ha appena fatto? Evidenti, poi, i vantaggi del nuovo reclutamento previsto in legge delega rispetto alla formula precedente. Fino a oggi si faceva un test molto selettivo, ma solo per accedere alle scuole di specializzazione (Tfa) e poi ci si formava. Ora si fa il concorso e poi ci si forma. Due differenze. La prima: per i Tfa la formazione era pagata dai docenti, ora negli anni di formazione sono loro a essere pagati. La seconda: con il Tfa ci si impegnava con la sola certezza dell’abilitazione, con il concorso si ha la certezza dell’assunzione. Pare poco?

AUTONOMIA E FLESSIBILITÀ

Il vero cuore della Riforma, quello di cui meno si è parlato. Divengono autonome la determinazione del monte ore annuale di ciascuna disciplina; il potenziamento del tempo scuola anche oltre i modelli e i quadri orari; la programmazione plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo e molto altro. I Dirigenti potranno inoltre prevedere la riduzione del numero di alunni e di studenti per classe (evitando “classi pollaio”) o prevedere articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo scuola o rimodulazione del monte orario.

Sembrano paroloni vuoti. Qualche esempio concreto per spiegare cosa potrebbe succedere di fatto se i presidi fossero capaci di cogliere l’occasione di autonomia. Un esempio: nell’ultimo biennio delle scuole superiori gli studenti (sottolineiamo, gli studenti) potranno chiedere di attivare insegnamenti opzionali o comunque approfondire materie curricolari per più ore. Tale scelta è volta anche a fini di un orientamento universitario o lavorativo più consapevole e mirato.

Il dirigente infatti può anche ridurre il numero degli alunni per classe per esigenze particolari, come potrebbe essere, per esempio, la presenza di alunni diversamente abili. A proposito, anche per questo ci sono novità. Il sostegno rientra tra le Deleghe al Governo, ma le linee sono già chiare: maggiore specializzazione per i diversi ambiti di intervento (per audiolesi, motulesi, etc. ci vorranno specializzazioni ad hoc) e ci sarà un concorso ad hoc per docenti di sostegno. Fino ad oggi si sceglieva il sostegno per “scalare” altri classi di concorso, spesso senza un minimo di”vocazione”. Ora diventa scelta professionale, con obiettivi vantaggi per i diversabili.

500 EURO AGLI INSEGNANTI

I docenti riceveranno 500 euro all’anno per la propria formazione: potranno acquistare libri, partecipare a corsi e addirittura vedere concerti a loro scelta. Ci sono, inoltre, più di 40 milioni per la formazione organizzata dalle scuole e 200 per il merito.

Questa libertà di spesa rappresenta un importante atto di fiducia. Al docente, e non solo alla scuola, viene data la libertà di scegliere i percorsi formativi e culturali. E’ nella logica di autonomia prima richiamata. Si tratta, anche, di denari messi in un circuito economico in particolare sofferenza: quello dell’industria culturale e dello spettacolo.

AIUTI ALLE FAMIGLIE PER LE PARITARIE

Sono 400 euro all’anno, da detrarre ai fini Irpef, per ogni alunno iscritto alle scuole paritarie. Le detrazioni riguarderanno gli iscritti agli asili, alle scuole elementari e superiori paritarie.

Non si tratta di soldi messi in mano alle scuole ma alle famiglie. Lo Stato, cioè, non finanzia a pioggia ma rimette l’aiuto nella libertà di scelta delle famiglie.

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