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di NINO D’AGOSTINO
LE recenti vicende giudiziarie che hanno coinvolto politici e burocrati regionali e i mal di pancia di dipendenti regionali che ho potuto registrare in riferimento ad un mio articolo di qualche giorno fa sul tema della qualità della dirigenza alla regione Basilicata mi spingono a fare ulteriori riflessioni in ordine ad argomenti cruciali, riguardanti il rapporto tra politica e società e più in dettaglio quello tra ceto politico e dirigenza amministrativa, argomenti che stanno alla base della mancata crescita della regione.
Eventuali lavori sporchi svolti da dirigenti regionali sono l’effetto, ma non la causa delle disfunzioni a cui danno luogo; confondere i due termini è fuorviante.
La causa consiste in un insano rapporto che frequentemente si instaura tra il politico che sceglie il dirigente ed il prescelto.
Spesso la scelta avviene non sulla base del merito, ma secondo l’affidabilità del potenziale dirigente circa la capacità di assecondare i desiderata del politico nell’ottica del consenso elettorale e clientelare da portare in dote al politico. Non basandosi l’incarico dirigenziale sulle effettive capacità professionali, ma su criteri di appartenenza politica, partitica attuale o potenziale (esempi di cooptazione di soggetti militanti in sponde avverse ce ne sono a iosa), si percepisce la nomina come beneficio che prefigura obbedienza, utilizzo delle risorse pubbliche in funzione privatistica e non per finalità generali, opacità e non trasparenza nelle decisioni amministrative, tutti fattori che spiegano, sia pure in parte, l’inefficienza e lo spreco delle risorse materiali ed umane disponibili .
Questo modo di operare è regola diffusa, genera un contesto operativo che non va discusso: così fan tutti, la sopravvivenza del politico e del dirigente dipende dalla capacità di sapersi muovere in questo sistema di regole.
Quando il dirigente generale è costretto a dare le ferie ad un suo collaboratore, negate in precedenza per motivi d’ ufficio, soltanto perché è intervenuto il suo assessore, quando i dirigenti regionali accettano passivamente la indicazione delle nomine di loro competenza da parte della Giunta regionale, quando si tollerano assenze e scarso impegno di dipendenti ,adusi a svolgere compiti politici estranei alle funzioni, a cui si è preposti (si tratta di situazioni ampiamente accadute), è chiaro che si scardina l’intero processo organizzativo, determinando confusione di ruoli e condizioni di irresponsabilità ed inefficienza diffuse.
Le segreterie e le direzioni generali di molti dipartimenti sono piene di gente assunta temporaneamente, seguendo la trafila delle agenzie interinali, anch’esse costrette , se vogliono lavorare, a “mettere il ciuccio dove vuole il padrone”, ossia ad indicare persone gradite al responsabile di turno dell’ente pubblico richiedente, sorvolando sulla qualità e comparazione dei profili richiesti.
Le campagne elettorali sono organizzate in molti casi negli uffici regionali con grande disinvoltura, impegnando personale interno ed esterno e dunque a carico del contribuente.

Come si sovverte questo stato di cose?
Rispondere non è facile. Il tema investe larga parte della cattiva politica che caratterizza storicamente il Mezzogiorno e non solo.
La questione è provare a ridurre (eliminare del tutto sarebbe velleitario) in livelli fisiologici il clientelismo che tocca sia la politica che la burocrazia: togliere, in altri termini, interesse a costruirsi le truppe cammellate a tutela del proprio potere, rendere inutile ed impossibile spendere la clientela per il proprio tornaconto politico, rendere liberi i funzionari di operare per il bene comune e non per il padrone di turno.
Già, ma come? Mi sia consentito riproporre in questa sede le seguenti cinque regole per realizzare istituzioni virtuose che sottopongo all’attenzione del lettore:
1) snellire il complesso delle istituzioni pubbliche, abolendo le Province e non pochi enti strumentali, privatizzando servizi che finiscono per essere centri di spesa a prevalente servizio della politica, riducendo le rappresentanze nei vari consessi amministrativi (giunta e consiglio regionale, consigli di amministrazione degli enti strumentali ecc.) ed i relativi emolumenti (indennità, vitalizi che anche in Basilicata consentono a non pochi notabili di riscuotere tre vitalizi per una sola vita, realizzando un vero e proprio miracolo esistenziale),

2) applicare finalmente la legge di riforma della pubblica amministrazione Bassanini che prevede appunto la separazione tra responsabilità di indirizzo politico e responsabilità di gestione, affidando alla politica il compito di programmare, fissare gli obiettivi socio-economici ed amministrativi da conseguire nella gestione delle risorse e controllare che tali obiettivi vengano effettivamente conseguiti, attraverso piani strategici ( i “piani della performance”) ed alla burocrazia quello di attuare le indicazioni politico-programmatiche, rompendo in tal modo le “coalizioni distributive” che ben conosciamo, dando ad essa la possibilità di organizzare in piena autonomia le sue strutture operative, sanzionando gli assenteisti, allontanando gli incompetenti, posizionando il personale e motivandolo con azioni formative ed incentivi, in base alle specifiche competenze.

3)Possibilità di essere eletti in una sola amministrazione e massimo per due legislature e poi ritornare a fare il proprio mestiere, rendendo plastica la figura del politico che vive “per” la politica e non “di” politica, come teorizzato da Max Weber.

4)Divieto di nominare negli enti strumentali i trombati della politica, evitando il secondo miracolo che pure siamo costretti a registrare del politico che diventa, sic et simpliciter, manager.

5) Applicare alla dirigenza contratti a tempo determinato riconfermabile in base ai risultati conseguiti, certificabili da agenzie di valutazione internazionali, evitando i nuclei di valutazione, nei quali si nominano amici dei politici che magari non hanno alcuna esperienza in materia di organizzazione, ma che sono funzionali a confermare le opinioni e gli interessi di coloro che li hanno indicati, creando di fatto il solito circuito dei controllori-controllati. Non è un caso che nella lettera della Bce stilata da Trichet e Draghi si sostenga che per migliorare l’efficienza amministrativa “negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione)”, in aggiunta all’esigenza “di un forte impegno ad abolire e fondere alcuni strati amministrativi intermedi (Province) e a “rafforzare le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali”.
Resta il problema di chi lo fa. Su questo, per esigenze di spazio, ci ripiegheremo in un prossimo articolo

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