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POTENZA – Un provvedimento di proroga regionale di non meno di 2 anni che permetta di delocalizzare e portare a compimento gli adeguamenti decisi dalla sentenza del Consiglio di Stato rispetto alla quale non si mette a rischio né la Regione Basilicata né la stessa struttura sanitaria.

E’ la richiesta del titolare della clinica Luccioni Walter Di Marzo, lanciata ieri alle istituzioni competenti attraverso una conferenza stampa.

Di Marzo e il suo personale (136 addetti), una parte del quale era presente ieri, ritengono sia ormai questione di ore.
Se la Regione Basilicata non interviene al più presto la clinica sarà costretta a chiudere. «Credo che l’unica cosa di cui discutere – dice Di Marzo – siano le prospettive future di questa struttura e non se debba esistere o meno. Il mio non è un braccio di ferro con nessuno, ma è arrivato il momento di decidere insieme come uscirne. Quanto stabilito dal giudice è impossibile da realizzare nell’arco di tre mesi, occorrono dai 30 mesi ai 2 anni. Sono fiducioso. Se si vuole una soluzione si può trovare, basta un provvedimento in cui venga stabilito un cronoprogramma che renda fattibile la delocalizzazione».

Di Marzo ribadisce, infatti, tutto il proprio interesse nel voler delocalizzare e investire.

Interesse già ben espresso in passato, quando in una lettera del 2014 chiese alla Regione Basilicata di poter delocalizzare, individuando come sito idoneo la struttura del Principe di Piemonte in via don Minozzi, dove prima c’era l’Istituto tecnico industriale Einstein, oggi a Malvaccaro in via Danzi.

Una lettera alla quale, però, non ha mai avuto risposta. Con questa, sarebbero tre le ipotesi di delocalizzazione: «Tutte – spiega Di Marzo – con nessun problema di autorizzazione urbanistica. Ciò significa che una volta presentato il progetto, questo va solo approvato».

Insomma, ci sarebbero tutte le condizioni per salvare il presidio sanitario che negli ultimi anni, secondo i dati forniti dalla stessa clinica, ha restituito molto al territorio e alla città in termini di mobilità attiva, ovvero quella extraregionale dalle altre regioni, specialmente Puglia e Campania, in Basilicata. Ed è sulla base di questi dati che alcuni consiglieri regionali starebbero preparando una proposta di legge in grado di dare l’ossigeno necessario alla clinica per adempiere ai propri doveri, da presentare al prossimo consiglio regionale.

Ci sarebbe poi da rivedere, secondo Di Marzo, anche il contratto con l’Asp rispetto agli ultimi dettami in seno alla direttiva europea in materia di sanità privata, dalla quale nasce la vicenda della delocalizzazione. L’attaccamento di Di Marzo alla clinica, al suo personale e al territorio è fuori di dubbio: «Non ho mai preso in considerazione l’idea di vendere – ha detto – E se qualcuno si è messo in testa di poter rilevare la clinica è meglio che lasci perdere».

Diverso è invece il discorso sulla possibilità di investire anche in altre strutture sanitarie private della città, come il Don Uva.
Di Marzo non smentisce le voci circolanti sulla sua domanda per la gestione di quest’altro presidio sanitario potentino in difficoltà, definendo questa «una scelta, una bella scelta».

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