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CATANZARO – Per ogni filone d’indagine aperto dalla Procura della Repubblica di Catanzaro sulla gestione del personale all’Arpacal, puntuale era partito un avviso di garanzia anche all’indirizzo dell’attuale presidente del consiglio regionale, Tonino Scalzo, nella sua qualità di direttore scientifico dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in Calabria. Ma, si sa, il tempo corre veloce. 

Sicuramente più veloce della giustizia, sulla quale incombe regolarmente il rischio della prescrizione. Dietro l’angolo rispetto a numerosi procedimenti attualmente al vaglio dei giudici. E già scattata per uno dei numerosi fascicoli scaturiti dalle indagini portate avanti a ritmo serrato dagli uomini della sezione di Pg del Nisa, per conto dei vari magistrati che hanno messo, di volta in volta, il naso tra le pratiche ritenute sospette. Così è finito in archivio il procedimento penale che ruotava intorno all’assunzione di Elisabetta Grillea all’Arpacal. 

In calce al provvedimento, la firma del gip, Ilaria Tarantino, che, nel dichiarare l’estinzione dei presunti reati di abuso d’ufficio e falso risalenti addirittura al 2007, fa un distinguo solo per un dipendente dell’Agenzia, Pasquale Lostumbo, nei cui confronti l’archiviazione è stata disposta perché riconosciuto “completamente estraneo ai fatti contestati”, dallo stesso magistrato titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore, Emanuela Costa. È stata quest’ultima, infatti, dopo aver chiuso le indagini a carico di nove persone, a raccoglierne le rispettive tesi difensive, per poi procedere con la richiesta di archiviazione, accolta dal gip, nei confronti di Elisabetta Grillea, la candidata che, secondo l’accusa, avrebbe beneficiato dei presunti illeciti commessi dagli altri indagati, tra cui, oltre a Lostumbo, figuravano anche Mariantonietta Alia (responsbaile del procediemnto del concorso “incriminato”), Silvia Romano (componente del gruppo di lavoro curante l’istruttoria della domanda presentata dalla Grillea), Francesco Caparello (dirigente del Settore Risorse umane e Formazione) Domenico Lemma (commissario dell’Arpacal), Antonio Scalzo (direttore scientifico Arpacal), Luigi Luciano Rossi (direttore amministrativo Arpacal) e Vincenzo Mollace (direttore generale Arpacal). 

Tutti chiamati a rispondere dei presunti reati di falso e abuso d’ufficio risalenti al novembre del 2007, data in cui la candidata, secondo l’originaria teoria accusatoria, nonostante non avesse il titolo di studio richiesto e non avesse apposto sulla domanda il codice esatto, era stata ugualmente ammessa ad un bando di concorso per la copertura di 10 posti di collaboratore tecnico professionale presso la direzione generale dell’Arpacal a Catanzaro indetto nel 2008. Salvo finire al termine delle prove al quindicesimo posto. Ma neanche questo sarebbe stato un problema. 

Perché, contestualmente all’approvazione della graduatoria definitiva finale del concorso in questione, era stata autorizzata la copertura di ulteriori cinque posti. “Tutto ciò in maniera illegittima”, aveva sostenuto la Procura, sulla scia della denuncia di chi si era visto dare il ben servito nonostante i titoli richiesti posseduti davvero. Denuncia che parlava di presunte irregolarità che avrebbero accompagnato le procedure concorsuali seguite per l’ammissione al bando di concorso per la copertura di 10 posti (strada facendo lievitati a 15) di collaboratore tecnico professionale di almeno due candidati che, seppur in possesso di un titolo di laurea diverso da quello previsto, sarebbero stati ugualmente ammessi grazie alla presunta compiacenza della responsabile del procedimento che avrebbe certificato il falso. 

Ed era stato proprio il suo nome, insieme a quello di tutti i componenti del gruppo di lavoro incaricato di valutare la documentazione allegata alle domande di ammissione di volta in volta presentate dai candidati, a confluire nel filone d’inchiesta ormai finito in archivio.

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