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LAMEZIA TERME – Il pm Luigi Maffia aveva chiesto 30 anni. Una richiesta accolta in toto dal gup Barbara Borelli, ha inflitto 30 anni a Daniele Gatto, il 33enne lametino che il 30 ottobre del 2011, dopo che la fidanza gli comunicò la fine della loro storia d’amore, uccise barbaramente la donna che diceva di amare. Gatto ha evitato l’ergastolo per la scelta del rito abbreviato. Lo scrive chiaramente il gup nel disposito di sentenza per la morte di Adele Bruno. Un verdetto che arriva alle 14 in punto di un caldissimo pomeriggio. Il padre e il fratello della vittima, nonché altri familiari, erano in attesa della sentenza fin dalla mattina, così come in tutte le udienze del processo. «Abbiamo ottenuto giustizia – commenta il papà di Adele, Rosario Bruno – anche se nulla potrà restituirmi mia figlia. A Daniele Gatto non ho nulla da dire, per me è una persona che non esiste. Penso solo a mia figlia che è davanti a me tutti i giorni». Il papà della ragazza uccisa, così come il fratello Vincenzo Bruno e la madre di Adele, Teresa Godino, si sono costituiti parte civile –rappresentata dagli avvocati Ruberto e Sereno – e il gup ha deciso per un risarcimento di 70.000 euro per il padre e di 35.000 euro ciascuno per il fratello e la madre. Nel corso del processo una perizia psichiatria ha stabilito che Gatto quel giorno uccise conspevolamente, mentre la difesa del giovane, rappresentata dall’avvocato Francesco Gambardella, aveva depositato gli esiti di un esame psichiatrico, psicologico e genetico effettuato su Daniele Gatto. Perizie psichiatrice che alla fine hanno dato ragione all’accusa. Tutto iniziò alle 7 della mattina del 31 ottobre 2011 quando Gatto si presentò in commissariato dicendo di aver «picchiato» ma non ucciso la donna con la quale aveva una relazione da circa un anno. Il giorno del delitto Gatto infatti non aveva ancora confessato. Ilb padre della ragazza uccisa, infatti, già nella serata del 30 ottobre si era presentato in commissariato per denunciare il mancato rientro a casa della figlia. Un mancato rientro comunicato dallo stesso fidanzato quando si recò, prima di confessare il delitto, a casa della famiglia della vittima per cercare Adele dicendo di non averla vista nonostante avesse avuto con lui un appuntamento. Invece Daniele Gatto quella sera aveva già ucciso la sua fidanzata, confessando il delitto però la mattina seguente su consiglio di uno zio sacerdote, Daniele Gatto, disoccupato, separato e con un figlio, avrebbe dovuto festeggiare il compleanno della sua ragazza proprio il giorno in cui la uccise. Da quel giorno Gatto è in carcere con l’accusa di omicidio volontario, aggravato dai motivi abbietti e vilipendio di cadavere. Gatto, il giorno dopo il delitto, su consiglio di uno zio sacerdote confessò indicando dove si trovava il corpo di Adele Bruno, una giovane e bella ragazza di 27 anni. La tragedia si consumò fra le 18 e le 20 di domenica 30 ottobre 2011 quando i due fidanzati erano usciti nel tardo pomeriggio. Giunti in un posto isolato a bordo dell’auto di lui, fra le campagne di via Felice Montesanti, i due avrebbero avuto una lite all’interno dell’auto conclusasi con la tragica morte della ragazza, il cui corpo fu trovato dalla polizia di Stato sotto un albero d’ulivo e vicino a un casolare diroccato, diventato il teatro di una terribile tragedia che segnò il drammatico epilogo di una storia d’amore di cui la famiglia di lei non ne era convinta. L’autopsia confermò che Gatto, dopo aver strangolata con le mani la ragazza che amava, avrebbe infierito sulla vittima con 13 colpi di canna di legno appuntita inferti sul volto della fidanzata fino a renderla irriconoscibile soffocandola anche con una corda. Quel tardo pomeriggio del 30 ottobre 2011, nel loro ultimo, tragico incontro, emerse dalle indagini che i due fidanzati si erano visti per chiarire qualcosa. La furia di Gatto si scatenò contro la giovane e indifesa vittima in quanto Adele gli avrebbe comunicato la fine della loro relazione.
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