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Giuseppe Conte

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Agosto come preparazione per settembre? Sai che banalità, ma c’è preparazione e preparazione. Quest’anno non si tratta semplicemente di approfittare della tregua parlamentare estiva per metter a punto qualche aggiustamento per la ripresa autunnale, come sarebbe del tutto normale. C’è la previsione di un settembre/ottobre in cui arriveranno al pettine tutti i nodi della politica italiana e di conseguenza si preparano le strategie per non soccombere alla grande prova.

In causa c’è la sopravvivenza del governo Conte, più che quella della legislatura, per lo scioglimento della quale si dovrà aspettare l’inizio dell’anno prossimo a meno che non ci sia una bocciatura referendaria del taglio dei parlamentari, cosa che viene data per improbabile. La tenuta o meno del governo dipende da quella della sua maggioranza, ma anche da come il premier riuscirà a giocare alcune carte che indubbiamente ha in mano. Conte ne è consapevole e non a caso ha lanciato il suo agosto di lavoro per arrivare a settembre con il piano da presentare a Bruxelles per i fondi del Recovery elaborato a sufficienza per portarlo alla discussione in parlamento (per inviarlo alla Commissione c’è tempo fino a metà ottobre).

LA CAMPAGNA ELETTORALE

E’ evidente che se l’obiettivo verrà raggiunto i partiti della maggioranza, ma in parte anche alcuni almeno dell’opposizione, dovranno fare i conti con quanto il governo si accinge a varare, lavorando, almeno così supponiamo presuma il premier, più che a far cadere il governo a trovare spazio per inserirsi adeguatamente nelle operazioni che scaturiranno dall’avvio di quanto progettato nel piano. Aggiungiamoci che poter lanciare in piena campagna elettorale l’immagine di un governo che si appresta ad allestire una gigantesca torta a cui far partecipare il paese potrebbe scongiurare le aspettative di una debacle della maggioranza alle urne di settembre o quantomeno contenerne la portata.

Questo sulla carta, non fosse che la realtà appare più complicata. In primo luogo ci sarà da vedere come evolve la crisi in cui si dibattono i Cinque Stelle. La questione non riguarda solo le lotte fra i vari gruppi che si muovono al loro interno, ma la ricaduta che queste avranno su quella larghissima base di consenso che li ha portati ad una vittoria strabiliante nel 2018. I parlamentari eletti hanno in buona parte assaporato e forse introiettato almeno parzialmente cosa significhi fare politica e che vantaggi comporti. Di qui una tendenza che si avverte a trasformarsi in partito, abbandonando le velleità movimentiste. Ciò però suppone dotarsi di strutture e di catene di comando, cosa che comporterà lotte intestine che si sa sempre più o meno dove cominciano, ma che è impossibile prevedere dove portino.

Significa soprattutto combattere per la visibilità delle posizioni, cosa che acuisce la probabilità di interferire con il governo e di entrare in conflitto (ulteriore?) con gli alleati. Lo si vede già sulla questione dell’immigrazione con le prese di posizioni di Di Maio verso la Tunisia, cosa che complica la vita tanto a Conte quanto a Lamorgese. Non parliamo poi dell’eterna questione del MES che incombe sulla maggioranza come l’ombra di Banco. Difficile però che M5S possa evitare il problema di ridefinirsi: semmai il tema è se riuscirà a farlo prima della tornata elettorale, il che è molto difficile.

Qui diventa centrale vedere come reagirà a questo travaglio l’elettorato dei Cinque Stelle. Per far presa su di esso il movimento e i suoi capi non hanno a disposizione una filiera di comunicazione per così dire interna: i meet up sono da tempo in sonno, i canali di internet non sono adatti per trasmettere ragionamenti, ma veicolano più che altro slogan. Per queste ragioni diventa difficile per i leader pentastellati far maturare una base che probabilmente è ancora, almeno in larga parte, legata ai mantra tradizionali. Non si sa quanto su questa situazione possa influire la progettazione governativa, che certo in parte userà argomenti che si trovano in quei mantra (ambientalismo, assistenzialismo e quant’altro), ma che non potrà farlo oltre certi limiti.

IL MES AL CENTRO DELLO SCONTRO

Soprattutto non si potrà evitare, riteniamo, lo scoglio del confronto parlamentare di settembre che vedrà per forza di cose non solo una analisi con qualche dettaglio delle iniziative che si vogliono varare con i fondi europei, ma anche il riproporsi del tema del MES. È in questo contesto che inevitabilmente verranno alla luce i diversi modi di intendere il futuro tra Cinque Stelle e PD e Italia Viva, con la complicazione che il governo non può perdere quel contatto con gruppi parlamentari come il Misto o le Autonomie che gli hanno dato un bel margine sulla questione della proroga dell’emergenza.

Questo contrasto interno alla maggioranza emergerà prima che si vada alle urne, e non solo perché dopo sarebbe troppo tardi, ma anche perché una parte almeno della coalizione e lo stesso Conte puntano su un possibile effetto positivo di questa manovra per rinforzare le loro chance elettorali. Ma questo può essere una trappola per M5S che si troverebbe spiazzato con la sua base, a partire dal rilancio dei fondi del MES che ci sarà, magari di nuovo sotto traccia, in quella sede. L’ipotesi che allora i Cinque Stelle possano scegliere di far saltare il banco, per quanto a malincuore, non è del tutto peregrina.


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