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POTENZA – Era almeno dagli inizi di gennaio dell’anno scorso che Leonardo Mecca sapeva di essere nel mirino degli investigatori. Dopo che il figlio si era accorto di essere pedinato, e lui si è presentato in Regione per avvisare Dionigi Pastore, l’amico funzionario dell’economato. Di qui l’idea di effettuare  una bonifica del suo ufficio dalla presenza di eventuali cimici. Un‘’’operazione registrata da microfoni e telecamere piazzate dagli agenti della mobile di Potenza.

C’è anche un capitolo dedicato al controspionaggio nell’inchiesta su mazzette, appalti truccati e sesso per amministratori compiacenti tra la Regione e il Comune di Potenza.

«Nell’intercettazione captata il 26 gennaio del 2013 all’interno degli uffici di Pastore – scrive il gip Rosa Larocca – si registrava l’affannosa ricerca dei due indagati intenti a scoprire eventuali microspie installate dalla polizia giudiziaria».

«Devi trova… dobbiamo trovare il punto giusto, così. Vedi… vai. L’hai fatto partire? Ma comunque non c’è un cazzo, perché se no l’avrebbe segnalato subito… Mò mi sento ancora tranquillo». Queste sarebbero state le parole di Mecca, a cui il funzionario avrebbe replicato indirizzando la ricerca: «Nella luce, nei quadri, in questi armadi».

Fallita la ricerca i due non si sarebbero tranquillizzati che per pochi giorni, e avrebbero ripetuto il tentativo di “bonifica” prendendo in prestito le apparecchiature necessarie da un tecnico di Potenza, Giovanni Mussari, per cui «a differenza di quanto valutato dalla polizia giudiziaria, il pm non ha ritenuto di rinvenire (…) gli elementi indiziari del favoreggiamento personale».

Fino a quando – a forza di cercare – le cimici non sono saltate fuori sul serio. Ma a quel punto gli investigatori avevano già raccolto una serie di elementi per cui martedì scorso il gip ha disposto gli arresti domiciliari per entrambi più due imprenditori di Ruoti: Giovanni Sileo e Gerardo Priore.

«Uno dei temi di solito ricorrenti nel corso delle indagini – annota Rosa Larocca – è la sistematica e ossessiva paura di essere sottoposti a controlli investigativi da parte degli indagati».

Così si spiegano i rapporti col colonnello Mario Zarrillo, a cui Mecca aveva chiesto di controllare la targa dell’auto civetta della polizia individuata dal figlio. O la consegna di un telefono “pulito” a Pastore sempre da parte dell’imprenditore potentino. O l’avvertimento al “collega” Priore, raccolto in un’altra intercettazione ambientale, sulle precauzioni da adottare per incontrare Pastore «senza destare sospetti».

«E’ meglio che non chiami, stai a sentire a Leonardo (…) Se vai casa a trovarlo fanno le fotografie. Non vale la pena.

Se no dopo associazione. Capito? E’ pericoloso. Senti, mò ti devi stare un po’ attento. Non chiamare».

Molto meglio sarebbe stato ad esempio, «farsi notare da Pastore, e poi portarsi direttamente al bar vicino alla Regione, dove il funzionario era solito consumare un panino durante la pausa pranzo».  Proprio come in un film di spie.

E niente telefonini, perché secondo Mecca «attraverso delle sofisticate apparecchiature sarebbe stato possibile intercettare le conversazioni tra presenti anche se il telefono si trovava a dieci metri di distanza».

Ma troncare i rapporti no. Questo a detta dei due imprenditori non sarebbe stato da prendere nemmeno in considerazione, anche con il fiato della polizia sul collo. Come per il funzionario dell’ufficio economato.

«Pure lui… Pure lui va trovando un po’ di moneta. Vedi che devi fare, vedi che devi fare che quello è stato… ti ha aiutato a te, a tutti ha aiutato. Mò piglia e tutti si allontanano…»

D’altronde gli amici si vedono proprio nel momento del bisogno.

l.amato@luedi.it

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