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Lunedì, si svolgeranno dinanzi al gip Livio Cristofano, gli interrogatori di Giuseppe Carotenuto, presidente di “Confidi Opus Homini”, e Gianfranco Vecchione, direttore generale dello stesso consorzio, da giovedì mattina in carcere con l’accusa di truffa e tentata concussione. Il terzo indagato, Giovanni Falanga, presidente di “Confidi Finlabor”, agli arresti domiciliari con l’accusa di aver concorso nella truffa, sarà invece sentito mercoledì. I tre sono difesi dall’avvocato Franco Locco, del foro di Cosenza, che nell’immediatezza ha contestato le misure cautelari applicate ai suoi assistiti, sia perchè incensurati e sia perchè nelle fasi delle indagini si erano presentati spontaneamente in Procura per chiarire la loro posizione.
Secondo la Procura di Cosenza, che ha avviato le indagini su segnalazione del Ministero dell’Economia, i tre, tramite i loro Confidi, avrebbero gestito in modo illecito la gestione dei prestiti alle imprese in difficoltà e agli imprenditori vittima di usura.
«Una banca privata gestita con fondi pubblici», ha spiegato il procuratore aggiunto di Cosenza, Domenico Airoma. Carotenuto, attuale capogruppo in consiglio provinciale di “Calabria Riformista”, Vecchione e Falanga avrebbero erogato i finanziamenti in modo arbitrario e clientelare, facendosi versare dai beneficiari commissioni variabili tra il 5 e il 10% (mentre la percentuale legale è dell’1%). Nello specifico, e sempre secondo l’accusa, il trio tra il 2008 e il 2010 si sarebbero procurati un ingiusto profitto di 513.475 euro, inducendo in errore il Ministero delle Finanze e dell’Economia in ordine, appunto, alla ricorrenza dei presupposti normativi di fruizione dei fondi antiusura.
Per avviare la macchina della truffa gli attuali indagati si sarebbero adoperati «nel predisporre – recita il capo di imputazione – lettere bancarie di rigetto delle richieste di finanziamento assistite da garanzia del Confidi per un valore pari al 50% dell’importo complessivo». Del resto il primo requisito per accedere ai fondi del consorzio è proprio quello di avere difficoltà di accesso al credito ordinario. E così ci si sarebbe attivati per fare le lettere false, tra l’altro, sostiene l’accusa, a vantaggio di imprese “amiche” degli indagati. La coppia Vecchione-Carotenuto è chiamata in causa per un tentativo di estorsione ai danni della titolare di un panificio che, protestata, aveva chiesto l’aiuto di “Opus Homini” e “Finlabor”. Secondo l’accusa, alla donna, che aveva già versato dei soldi a titolo di “commissioni”, sarebbero stati chiesti 2700 euro per l’istruzione della pratica e per il tesseramento al consorzio. I tre indagati, come ha ricordato il loro avvocato difensore, prima del loro arresto hanno rilasciato delle dichiarazioni spontanee ai magistrati. Per esempio lo scorso 13 dicembre Vecchione ammise, anche per conto degli altri due indagati, «che effettivamente le lettere bancarie di rigetto delle richieste delle imprese di finanziamento per le quali era assicurata l’ammissibilità della garanzia del 50% dell’importo complessivo erano realmente artefatte, ragionevolmente fotocopiate, in quanto tutte perfettamente sovrapponibili. Ne eravamo consapevoli sia io, sia Carotenuto Giuseppe. Non saprei dire se le imprese interessate ne fossero a conoscenza».
Vecchione giustificò (secondo l’accusa «in maniera disarmante») tale falsificazione «con la necessità – si legge nell’ordinanza firmata dal gip Cristofano – di contrarre significativamente i tempi di svolgimento della procedura ordinaria, previsti in 2/3 mesi». Vecchione aggiunse che tutte le imprese che si erano rivolte a entrambi i Confidi si trovavano al momento della domanda nelle condizioni di accedere al fondo e che l’unico presupposto mancante era proprio la lettera di rigetto della banca. Vecchione concluse sostenendo che i finanziamenti antiusura erogati e da loro garantiti venivano definiti attraverso l’applicazione di un tasso che andava dallo 0.9% al 3% massimo e che tutte le imprese, nessuna esclusa, avevano avuto l’erogazione dei finanziamenti con accredito sui rispettivi conti correnti. Secondo l’accusa «le spiegazioni del Vecchione appaiono per nulla convincenti» e la “prassi anomala” delle false lettere di rigetto «era ben nota ai tre prevenuti e lascia chiaramente intravedere la collaborazione fattiva di altri soggetti».

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