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Sono quattro i medici in servizio presso l’Unità operativa complessa di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale civile dell’Annunziata ufficialmente indagati per la morte, a soli 27 anni di età, di Caterina Loria (in foto), di San Giovanni in Fiore. Come si ricorderà la giovane donna perse la vita lo scorso 28 giugno all’ospedale di San Giovanni, una settimana dopo aver dato alla luce a Cosenza, col cesareo, una bimba.
Sotto accusa sono i medici Attilio Forte, Andrea Bilotti, Maria Patrizia Romano e il primario Pasquale Pirillo, che dovranno rispondere di concorso in omicidio colposo. Gli indagati hanno ora i classici venti giorni per chiedere di essere indagati o produrre le loro memorie difensive. I quattro sono stati chiamati in causa perchè “per negligenza, imprudenza e imperizie, consistite nella prestazione di una inadeguata assistenza clinica, cagionavano – si legge nel capo di imputazione redatto dal pm Di Maio – la morte di Caterina Loria, intervenuta per tromboembolia massiva del ramo principale dell’arteria polmonare, con tromboembolizzazione diffusa del suo letto vascolare, associata a microinfarti emorragici polmonari, secondaria a tromboflebite della vena safena interna sinistra, insorta nel decorso post-operatorio in soggetto sottoposto a taglio cesareo”. Sempre secondo il pm Di Maio i quattro medici indagati, “in presenza di una sintomatologia dolorosa acuta a carico della caviglia sinistra e del polpaccio sinistro, insorta successivamente all’espletamento del parto avvenuto (in data 21 giugno 2011) mediante taglio cesareo e quindi nella fase immediatamente post-operatoria, nel corso delle giornate del 22, 23 e 24 giugno, allorchè la paziente era ospedalizzata, omettevano di valorizzare adeguatamente tale sintomo e quindi di effettuare le necessarie valutazioni cliniche proprie dell’esame obiettivo locale, non attivandosi – secondo la metodologia propria della diagnostica differenziale – per individuare le possibili cause del dolore e quindi pervenire, per tale via, alla definizione della diagnosi”. I medici sotto accusa non avrebbero poi, e sempre secondo il pm, fatto ricorso alla valutazione e alla consulenza specialistica dell’angiologo o del chirurgo vascolare e neanche avviato la diagnostica strumentale tramite esame doppler “al fine di formulare tempestivamente la diagnosi di trombosi dell’asse venoso dell’arto inferiore sinistro”. E poi gli stessi indagati non avrebbero proceduto “al necessario trattamento terapeutico mirato di natura sia farmacologica che fisica (attraverso mezzi elastocompressivi)”, dimettendo e inviando infine al proprio domicilio la giovane madre “nella fase sintomatica acuta”. Per il pm “tali erronee e censurabili condotte determinavano un aggravamento della trombosi venosa profonda e la sua evoluzione in tromboembolia, culminata nell’embolia polmonare acuta che conduceva al decesso della Loria”. E nulla, sei mesi fa, poterono fare i medici dell’ospedale di San Giovanni, dove fu portata dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. La colpa, ha stabilito il pm, sta tutta nei sanitari di Cosenza. Intanto la piccola sta bene e vive col papà nella casa dei genitori di Caterina.

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