X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

Operazione denominata “Tsunami” questa mattina, dei carabinieri del Comando provinciale di Cosenza per l’esecuzione del fermo di undici persone ritenute affiliate al clan Abbruzzese, cosiddetto clan degli zingari, attivo nel territorio dell’alto Ionio cosentino, in particolare di Cassano Jonio.
Secondo quanto emerso dalle indagini, la cosca stava pianificando un imminente attentato alla vita di un magistrato della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto (nella foto), da anni in prima linea contro la cosca che opera nell’alto Ionio cosentino. Dal 2004 in poi infatti, il pm ha coordinato una serie di inchieste (tra le quali Lauro, Sibaris e Timpone rosso) che hanno riguardato proprio gli Abbruzzese e che hanno portato all’arresto di numerosi persone tra le quali anche latitanti storici della ‘ndrangheta dell’alto Ionio cosentino. Inchieste che spesso si sono concluse con pesanti condanne. Il clan è stato più volte duramente colpito nel passato prossimo e remoto con inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che hanno portato anche a pesanti condanne.
Lo scorso 26 maggio i carabinieri hanno arrestato il presunto boss latitante, Nicola Abbruzzese, detto Semiasse, trovato in un bunker ricavato nell’abitazione dei genitori nella frazione Lauropoli di Cassano Ionio. In quello stesso giorno la corte d’assise di Cosenza condannava all’ergastolo il fratello, Francesco Abbruzzese, detto Dentuzzo, considerato dagli inquirenti un capo senza scrupoli. Stamattina, nel medesimo contesto operativo, il Commissariato della Polizia di Stato di Castrovillari ha eseguito un altro fermo nei confronti di dodicesimo affiliato alla medesima consorteria.
In passato Luberto ha subito minacce ed intimidazioni. In particolare, nel 2007, ignoti sono entrati nel garage della sua abitazione e gli hanno rubato l’auto. Ma prima di andarsene hanno danneggiato tutto ciò che hanno trovato ed hanno lasciato tutta una serie di frasi di minacce scritte sui muri. Due anni dopo la casa del magistrato e stata «visitata» da qualcuno che si è impossessato di alcuni monili in oro appartenenti alla moglie. Già allora, però, l’ipotesi del semplice furto trovò scarso credito presso gli investigatori. I fermati sono accusati di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione aggravati di armi da sparo comuni e da guerra.
Le indagini si basano anche su alcune intercettazioni dalle quali emerge chiaro l’intento del clan: «Appena arriva l’arma, tra qualche giorno, lo facciamo». È questa infatti la frase, pronunciata verso la fine di maggio da uno degli indagati, che ha fatto scattare l’allarme dei carabinieri su un progetto di attentato ai danni del pm della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto.
Frase che ha fatto seguito ad un’altra, nella quale si sente dire: «l’altra volta non siamo entrati in azione perchè pioveva». I carabinieri, che stavano conducendo un’inchiesta sulla cosca degli Abbruzzese coordinata dallo stesso pm, hanno subito intensificato i controlli e dopo avere rafforzato la tutela al magistrato, sono entrati in azione forti di provvedimenti di fermo emessi dalla Dda catanzarese per sventare sul nascere qualsiasi ipotesi di attentato.
Dalle intercettazioni è emerso che alcuni dei fermati nell’operazione di stamani, già da tempo stavano controllando le mosse del magistrato. Parlando tra loro citano le abitudini del pm, di come si muove, se è solo o in compagnia. E verso la fine di maggio, dopo che la cosca ha accertato che in certi momenti il magistrato è solo, arriva la frase «appena arriva l’arma lo facciamo». Probabilmente, è l’ipotesi degli investigatori, chi aveva progettato di uccidere Luberto stava aspettando un’arma particolare, forse un fucile di precisione.
Secondo quanto emerge inoltre nei fascicoli d’indagine è emerso che le cosche della Sibaritide negli anni passati stavano progettando un attentato nei confronti di un altro magistrato della Dda di Catanzaro, Salvatore Curcio, anch’esso all’epoca in prima linea contro di esse. Secondo la ricostruzione degli inquirenti avrebbero dovuto colpirlo con un bazooka. Situazione simile per Eugenio Facciolla, pure lui in passato pm della Procura antimafia, finito nel mirino dei clan di Cosenza.

LE PERSONE FERMATE
Ci sono tre donne tra le dodici persone sottoposte a fermo dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e dalla polizia con accuse che vanno dall’associazione mafiosa all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al porto e detenzione di armi da sparo comuni e da guerra. Le donne fermate sono Maria Rosaria Lucera, di 41 anni, posta ai domiciliari, Antonia Maria Lucente (22), e Maria Marranghelli Marzella (39), tutte e tre di Cassano Ionio e già note alle forze dell’ordine.
Gli altri fermati sono Antonio Lucera (38), di Cassano Ionio; Nicola Campolongo (21), di Cassano; Simone Iannicelli (27), di Cassano; Roberto Pavone (35), di Corigliano; Cosimo Lucera (65), di Tarsia; Haramis De Rosa (20), di Cassano; Danilo Ferraro (22), di Castrovillari; Massimiliano Aversa (20); Tommaso Iannicelli (32), detto «il calciatore», di Cassano. Tommaso Iannicelli, per gli investigatori, sarebbe inserito a pieno titolo nella cosca degli Abbruzzese.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE