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Il racconto all’Ansa di Gaetano Fierro, ex sindaco di Potenza dal 1980 al 1990: «La fretta suggerisce interventi immediati, talvolta affidati ad imprese improvvisate, incapaci di offrire standard accettabili di qualità e sicurezza. E’, invece, indispensabile un intervento tecnico di eccellenza su tutti gli edifici, lo impone la ciclicità dei terremoti nelle aree a forte rischio»

POTENZA – Erano le 19.34 del 23 novembre 1980 quando un violentissimo terremoto scosse l’Irpinia e la Basilicata, provocando 2.500 morti e una immane catastrofe. A Potenza il sisma fece alcuni morti e provocò gravissimi danni al patrimonio edilizio: alcune case crollarono, molte altre furono gravemente danneggiate. La furia sismica mise in ginocchio la città. Quasi 36 anni dopo quel terribile terremoto, il tessuto urbano a Potenza è stato ricomposto, la ricostruzione del centro storico può dirsi completata.

«Anche nel reatino e nell’ascolano bisogna ripartire dalle strutture pubbliche», dice Gaetano Fierro, ex sindaco di Potenza dal 1980 al 1990, che gestì le fasi dell’emergenza e della ricostruzione. «In tenda o in prefabbricato, le scuole devono rapidamente riprendere a funzionare, gli uffici pubblici devono essere operativi, gli empori commerciali e le attività artigianali devono essere messi in condizione di ripartire. Solo in questo modo, ed è l’esperienza fatta a Potenza dopo il terremoto, la vita si rianima e si trova la forza per ricominciare».

Rispetto al modello seguito a Potenza per arrivare alle nuove case, l’ex sindaco del capoluogo lucano suggerisce di saltare alcuni passaggi. «A Potenza – racconta – si fecero prima le tendopoli, poi i campi container ed, infine, i prefabbricati. Poi si passò alla realizzazione delle nuove case. Per la ricostruzione ad Amatrice negli altri comuni colpiti dal recente terremoto, eviterei la fase dei container. Suggerirei di individuare delle aree vicine alle case danneggiate nelle quali dar subito avvio ai lavori per insediare rapidamente delle strutture modulari, delle vere e proprie case, per garantire almeno una sistemazione confortevole ai sopravvissuti in vista del prossimo inverno». 

Quando parla di nuovi quartieri abitativi, Fierro non pensa a new town. «Boccio l’idea di news town – spiega – perché lacera il tessuto sociale. Anche dopo il terremoto del 1980 alcuni centri sono stati ricostruiti in un sito diverso rispetto al precedente. Non è stata un’esperienza positiva, si sono perse radici storiche e in molti oggi si sentono in qualche modo spaesati». Quanto alla ricostruzione definitiva dei centri abitati, Fierro suggerisce due argomenti che giudica «essenziali e correlati»: «Non bisogna aver fretta e bisogna ricostruire secondo rigorosissimi criteri antisismici. La fretta – spiega – suggerisce interventi immediati, talvolta affidati ad imprese improvvisate, incapaci di offrire standard accettabili di qualità e sicurezza. E’, invece, indispensabile un intervento tecnico di eccellenza su tutti gli edifici, fondato su criteri antisismici. Lo impone – conclude – la ciclicità dei terremoti nelle aree a forte rischio sismico».

Enzo Quaratino
Ansa

Didascalia foto:
Vietri qualche giorno dopo il terremoto del 23 novembre 1980 (foto da Melandronews)

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