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POTENZA – Protezione in cambio di soldi per il clan e i suoi referenti calabresi. Se l’appalto vale 28milioni di euro, come quello delle pulizie al San Carlo di Potenza, ce n’è abbastanza per spartire anche coi padrini crotonesi, e un sindacalista “amico” a disposizione per tenere buoni i lavoratori. Se poi tra questi qualcuno “osava” ribellava lo stesso, allora gli bruciavano l’auto, e poteva andare molto peggio a chi fomentava gli animi parlando di diritti, salario e rivendicazioni tra i suoi colleghi. Il piano era di gambizzarlo, così imparavano tutti che era meglio abbassare la testa e faticare in silenzio.
E’ la legge della ‘ndrangheta: quella dei sindacati corrotti e dei lavoratori tenuti sotto schiaffo; delle aziende che pagano il pizzo e fanno regali a chi trama alle spalle dei compagni. Solo che stavolta succede a Potenza, nell’isola felice, dove la mafia non avrebbe mai attecchito. Almeno stando a quanto racconta il figlio di uno di quei boss, di cui per anni si è favoleggiato. Qualcuno moriva a colpi di lupara, l’antimafia faticava a trovare gli assassini, poi ne arrestava un po’, ma i più venivano scarcerati, e le sentenze non sono mai arrivate. Così in tanti si sono convinti che fosse tutta un’invenzione.
Tra le accuse di Natale Stefanutti al “vecchio” clan Martorano c’è un ampio capitolo dedicato agli appalti e all’ospedale San Carlo di Potenza. Non solo quello per lo smaltimento dei rifiuti speciali gestito dalla Salvaguardia ambientale dei Vrenna, che hanno denunciato il tentativo di estorsione da parte di Donato Lorusso (42), agli arresti da mercoledì. Ma anche la maxi-commessa per le pulizie che è sempre quella più ricca quando si tratta di gestire grandi strutture. Un affare da 28milioni di euro in 5 anni che era stato già al centro della maxi-inchiesta Iena2, quando finì in carcere anche il titolare di una delle ditte che all’epoca si era aggiudicato il servizio, il napoletano Massimo Alemagna. Lo avevano scoperto a tavola col boss in persona, Renato Martorano, in un ristorante sulla Basentana. Assieme a suoi “amici” calabrese delle ‘ndrine dei Pesce e Alvaro-Violi-Macrì, che controllano la piana di Rosarno e la zona aspromontana di Sinopoli. Dopo poco però venne rimesso in libertà, e poi assolto da tutte le accuse. Così è tornato all’ospedale San Carlo dalla porta principale con la sua nuova Kuadra srl. E a quanto pare avrebbe riallacciato gli stessi rapporti che gli erano costati tutti quei problemi. Perché in nome degli affari il carcere si può fare, quando è poco, ma la guerra coi sindacati no.
Stefanutti ha parlato a lungo del referente su Potenza della ditta di Alemagna, Giovanni Tancredi, che risulta anche indagato assieme a Lorusso per la tentata estorsione ai Vrenna.
Secondo gli investigatori della Mobile del capoluogo sarebbe stato lui a fare le presentazioni tra i responsabili della Salvaguardia ambientale e il “reggente” del clan di Martorano e del padre di Natale, il 55enne pluripregiudicato Dorino Stefanutti (in carcere dal 2013 per l’omicidio di Donato Abbruzzese). Ma a parte questo non risulta che abbia fatto altro, e la Dda di Potenza ha deciso di lasciarlo in libertà.
«Giovanni voleva gambizzare una persona di Tito, che ha attivato tipo un sindacato». Ha spiegato agli inquirenti il giovane pentito agli inizi di novembre, annunciando che nel giro di qualche giorno l’agguato sarebbe stato messo a segno.
Il problema era il soggetto in questione avrebbe rubato alcuni tesserati a un tale «Rocco», che era il sindacalista “di fiducia” del clan. Perciò andava protetto, perché potesse continuare a gestire la situazione da dentro, tenendo a bada i dipendenti della ditta. Come si era fatto per lo stesso Giovanni, incendiando l’auto di una donna che lavorava per la ditta e lo aveva denunciato per il suo comportamento.
«Rocco ha molti tesserati in ospedale con la Uil e controlla gli interessi dell’azienda non curando i lavoratori». Ha aggiunto Stefanutti. «Per questo l’azienda gli fa i regali».
Chi sia davvero Rocco gli inquirenti per ora non lo svelano, ma sono riusciti a risalire al sindacalista “nemico” che andava punito in maniera esemplare. «Vito Gallicano Carmelo Alberto». Scrivono in una delle informative allegate all’ordinanza di arresti per Lorusso.
Non si capisce bene nemmeno se alla fine l’attentato sia stato sventato con uno stratagemma dagli agenti della Mobile, o l’idea sia stato abbandonato « per decisione del clan.
Anche questo sarebbe rientrato nei «60mila» euro all’anno che Alemagna pagava di «protezione» agli amici potentini.

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