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POTENZA – Perché restare?. «Ma perché andarsene?», dice e sorride Mauro Fiorentino. Ma la sua non è una provocazione. Per un sacco di motivi, viene da rispondergli. Ma lui no, il Rettore dell’Università di Basilicata non è d’accordo, e ne tira fuori altrettanti per convincere del contrario: «In un momento come questo non si capisce perché un giovane diplomato, a parità di offerta formativa, dovrebbe scegliere un’altra università». «Quello lucano – continua – è un ateneo che, al pari del 95 per cento delle altre università italiane, ha le sue debolezze ma anche i suoi punti di forza». E’ in un momento di crisi, così difficile, che si gettano le basi per costruire un futuro più solido. L’Unibas sta provando a muoversi in questa direzione. C’è una scommessa grande per un piccolo ateneo: crescere e affondare saldamente le radici nel terreno per far sbocciare i fiori migliori. Nonostante i tagli introdotti dal governo. Malgrado i limiti di una regione piccola e problematica come la Basilicata. E a dispetto delle tante difficoltà di un polo di formazione un pò bistrattato. «I presupposti ci sono e la sfida è possibile», il Rettore ci crede. A patto che tutto il territorio, compresa la sua gente, sia disposto a perseguire lo stesso modello di crescita. Solo buoni propositi? Forse no. Perché ci sono importanti novità che interessano la nostra università. A partire da un nuovo modello di programmazione, formalmente sancito dalla recente firma dell’accordo romano tra Unibas, ministero e Regione. Non più limitato alla gestione della sopravvivenza, ma che si ispiri a una progettazione di più ampio respiro.
Partiamo da una premessa: come se la passano Atenei italiani?
Non molto bene, direi. C’è innanzi tutto un problema di fondo che attiene al modello dell’offerta formativa universitaria. Io credo che quella che stiamo attraversando sia una fase di forte confusione. Da una parte c’è il Governo che sta perseguendo una linea di concentrazione degli atenei. Dall’altra c’è la realtà di fatto, un patrimonio italiano che si fonda sulla specificità delle singole realtà universitarie, ognuna con le proprie specificità. Il rischio è che questa visione politica snaturi un patrimonio che fino a questo momento è stato fonte di ricchezza. Dal punto di vista pratico, i tagli introdotti dal ministro Gelmini hanno notevolmente mortificato la qualità dell’offerta formativa, con tutte le note conseguenze che la riforma ha portato.

E in questo quadro come sta l’Università di Basilicata?
Come tutti i piccoli atenei abbiamo rischiato grosso. Ecco perché la firma dell’accordo a Roma, tra Università, Regione e ministero, secondo le previsioni normative e frutto di un dialogo instaurato già a partire dal 2009, ha rappresentato un fatto molto positivo. Di fatto l’intesa riconosce l’impegno “straordinario” e innovativo della Regione Basilicata a favore dell’università lucana, che stanzia 10 milioni di euro all’anno per 12 anni. Un impegno economico che consentirà al nostro ateneo di difendersi contro i tagli del Governo centrale, di rafforzare e migliorare l’offerta formativa.
Ma non è solo questo, vero?
L’aspetto più importante di questo accordo è che vengono riconosciute le specificità del nostro ateneo e ci dà la possibilità di muoverci con più facilità rispetto ai vincoli stringenti che vigono sul piano nazionale. Si è compreso che il piano di sviluppo dell’Università di Basilicata è in itinere, con esigenze specifiche rispetto agli altri atenei. Ma c’è un altro aspetto che va sottolineato. Nell’accordo ci sono delle importanti premesse che riconoscono all’Università di Basilicata la sua distanza dallo stereotipo con cui l’università italiana è stata presentata in questi ultimi anni: dalla proliferazione delle carriere, esplosione dei corsi di studio, aumenti ingiustificati di docenti, personale amministrativo, e borse di studi. Nei che non hanno macchiato il nostro ateneo, e questo è un importante riconoscimento.
C’è in programma un arricchimento dell’offerta formativa?
Non credo ci sia più spazio per scommettere ancora su nuovi corsi. Negli anni passati si è già diversificato molto. Ci saranno sicuramente delle modifiche, delle rimodulazioni dei corsi di studio. Ma il nostro sforzo sarà indirizzato a rendere ottimale l’esistente. In programma ci sono soprattutto i rapporti di collaborazione con altre università italiane.
Pensa che qualcosa potrà cambiare davvero o i giovani lucani preferiranno andare a formarsi altrove?
Questo rimane il mio cruccio. Credo che oggi sia anacronistico uscire dalla regione a 18 anni per andare a studiare altrove. Spesso si rivela una scelta sbagliata, anche perché non tutti a quella età hanno la maturità per affrontare la responsabilità di una scelta così importante. E soprattutto quando penso alla migrazione da parte degli elementi cosiddetti migliori, che provengono dalle famiglie più agiate, dei livelli sociali più elevati, mi rendo conto di quanto sia sbagliato per loro rinunciare all’impossessarsi di questo sistema culturale. I ragazzi lucani dovrebbero iniziare a vivere la loro università con piacere, scommettere sul nostro ateneo e sui loro anni migliori anche per migliorare quelli che possono essere i punti deboli, quali la mancanza di punti di ritrovo, carenza di attività culturali. Rinunciare a questo secondo me è sbagliato. Mai come in questo momento i nostri territori hanno bisogno di teste pensanti, capaci di promuovere nuove iniziative, di costruire un futuro dall’interno piuttosto che aspettare che venga calato dall’alto. Il Paese ha bisogno di una svolta nuova e l’unica possibilità di un modello innovativo può arrivare dai giovani.
Forse contribuiscono a scoraggiare anche le scarse opportunità di lavoro sul territorio al termine del percorso formativo. Del resto una delle critiche più forti verso l’ateneo lucano è di essere scarsamente collegato alle realtà economiche e produttive..
Io credo che quest’ultimo aspetto sia un problema condiviso da tutte le università italiane, tranne alcune rarissime eccezioni. Credo che invece dovrebbe essere impegno delle istituzioni e della politica il creare le condizioni affinché il tessuto locale sia in grado di assorbire le figure professionali formate nell’ateneo. Del resto il nostro sforzo, rispetto alle condizioni di partenza, è stato quello di diversificare l’offerta formativa proprio per offrire quante una più ampia gamma di possibilità e target più mirati. Da parte nostra ci può essere una scarsa capacità di intercettazione di alcune realtà, ma va detto che oggi le regioni del Mezzogiorno in special modo hanno grosse difficoltà a individuare le proprie vocazioni economiche.
Resta però che chi sceglie di studiare in Basilicata deve fare i conti con servizi assolutamente inadeguati, sia a Potenza che a Matera.
E’ vero che da questo punto di vista siamo molto indietro. La stessa Ardsu, l’Azienda per il diritto allo studio, presenta una situazione non molto brillante. Non c’è stato neanche un significativo impegno da parte dei comuni per la programmazione e l’erogazione di servizi agli studenti. Oggi qualche novità c’è. La Regione ha modificato il suo approccio nei confronti dell’Ardsu, cercando la via della concertazione finalizzata alla programmazione. C’è una consapevolezza diversa che si spera possa portare il più rapidamente possibile il territorio ad “attrezzarsi” dei servizi agli studenti, per rendere più attrattivo il nostro ateneo. Quella dei tempi lunghi, va detto, è una vera iattura.
Insomma, c’è voglia di dare una nuova e più convincete identità all’Università di Basilicata. Ma bisogna fare anche i conti con la crisi economica e con tutte le funeste conseguenze che ha prodotto anche sul sistema formativo. L’università come ne ha risentito e come pensa di uscirne?
La crisi ha avuto un doppio effetto, sia all’interno degli atenei che nel rapporto con il territorio e i suoi soggeti. In Basilicata, la mancanza di risorse e quindi la necessità di procedere alla razionalizzazione, ha prodotto tagli per il 12 per cento. Ed è stato proprio l’intervento della Regione a consentire un salvataggio dell’Unibas. C’è poi un mutato rapporto con l’esterno sempre indotto dalla crisi. Le attività di ricerca, già drasticamente ridimensionate dai tagli ai trasferimenti statali, devono fare i conti con i minori investimenti da parte dei privati. Questo è un grave danno per il Paese. Così com’è vero che gli sbocchi occupazionali si sono ridotti sensibilmente. Il che comporta scoraggiamento da parte dei giovani che credono meno in un percorso formativo, al termine del quale è sempre più difficile trovare un lavoro. I ragazzi hanno meno speranze e di conseguenza ci mettono meno impegno. Questo sta incattivendo il livello di competizione tra poveri. Questa corsa del Nord a “svuotare” il Sud di risorse economiche e umane non fa che complicare le cose. Ma è proprio da qui che bisogna ripartire per ribaltare la situazione. Oggi tutti dovremmo comprendere che dobbiamo imparare a vendere meglio la nostra realtà. Io credo che la Basilicata abbia le carte in regola, il patrimonio giusto per diventare una regione realmente attrattiva. Spetta ai giovani, con le loro idee, invertire la rotta. E’ su di loro che bisogna investire. E prima di tutto c’è la formazione. In questo quadro che l’Università si colloca come un polo trainante di sviluppo. Ma si tratta di un percorso di crescita che dobbiamo fare insieme e che comporta uno sforzo congiunto da parte di tutti. E’ proprio dalla crisi che arriva la nostra nuova occasione.
Prima faceva riferimento all’effetto demotivante che ha sui giovani la crisi occupazionale. Il lavoro è poco e spesso non va ai più meritevoli ma agli amici degli amici. Bisognerebbe iniziare a cambiare qualcosa anche in questa direzione?
La premessa principale per intraprendere un nuovo percorso di crescita è una rivoluzione culturale rispetto a modelli che impongono raccomandazioni e favoritismi. Neanche l’università ne è esente. Questa è in primo luogo una questione di etica. Ed è da qui che bisognerebbe partire.
Nei giorni scorsi un quotidiano locale riportava la notizia dell’inchiesta della procura della Repubblica di Potenza su progetti europei andati male, con la restituzione di 2 milioni di euro da parte dell’Unibas alla Ue
Posso dire solo che l’Università non ha restituito nessun finanziamento alla Ue e non mi risultano progetti andati a male. La vicenda non mi è molto chiara.
Dica qualcosa a tutti quelli che credono che quello lucano sia un ateneo di serie B..
Io credo che la nostra sia un’università “normale”, con punti di forza e di debolezza, come la gran parte degli altri atenei. Non credo nelle classifiche che di tanto in tanto si vedono sulla stampa, che comunque ci assegnano posizioni di tutto rispetto. Ma la verità è che se noi iniziamo ad avere tanti giovani che hanno voglia di investire sul loro futuro in regione non possiamo che crescere.

Mariateresa Labanca

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