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Sale a cinque il bilancio delle vittime dopo il ritrovamento di altre due persone morte. A 48 ore dal naufragio della Costa Concordia piegata a 90 gradi davanti all’isola del Giglio, sono riemersi i primi due cadaveri, che si vanno ad aggiungere ai tre recuperati in acqua la sera di venerdì. Un bilancio destinato probabilmente a salire ancora, visto che i numeri ufficiali parlano di 17 dispersi. E riemerge anche la scatola nera, da cui stanno arrivando le prime conferme a quello che tutti, al Giglio, hanno visto: la Concordia era a soli 150 metri dalla costa, un punto dove non avrebbe mai dovuto essere e l’allarme è stato dato un’ora dopo l’impatto con lo scoglio.

IL CAPPELLANO DELLA NAVE, DI ORIGINI
CALABRESI, DIFENDE L’EQUIPAGGIO

Don Raffaele Malena è rimasto a bordo a prestare assistenza ai passeggeri in difficoltà e non ha abbandonato la nave “Costa Concordia” che stava affondando. Il sacerdote, 74anni di età, esponente di un’antica famiglia di pescatori di Cirò Marina, si è schierato, uno fra i pochi, a difesa dell’equipaggio e del comandante della nave da crociera. Ieri mattina, interpellato telefonicamente, ha sostenuto: «La nave ha preso lo scoglio e uno squarcio di 70 metri non ti perdona, ti manda subito a fondo». Pertanto, a suo parere «E’ troppo facile parlare di impreparazione, il disordine l’ha creato il panico, la paura dei passeggeri, non l’equipaggio».
Don Raffaele ha osservato: «Quei momenti sono di panico; quando si è verificato l’urto, sono andati a vedere in sala macchina, se potevano risolvere il black-out». Stando al suo racconto, i macchinisti hanno trovato la sala macchina già invasa dall’acqua e «non c’è stato niente da fare».
Il religioso ha ribadito: «L’equipaggio si è prodigato, non è vero che era passivo, il panico fa quello che fa, io, appena ho capito che c’era stato uno squarcio di 60-70metri, mi sono affidato a Gesù». A sorpresa, don Raffaele ha difeso pure la manovra del comandante in quanto, a suo giudizio, «ha cercato di arrivare con la nave sottoriva, vicino al porto, ma la nave ha incominciato ad inclinarsi a 150-200metri dal porto, non più lontano». Si è schermito, invece, alle domande personali, eccependo che «il cappellano dov’è chiamato, deve correre, ho incoraggiato i passeggeri, c’erano tanti bambini».
I suoi ringraziamenti sono andati al parroco, che ha aperto le porte della chiesa ai naufraghi, e agli abitanti dell’Isola del Giglio.
Ieri, don Raffaele ha consegnato le chiavi delle casseforti del Concordia, che aveva in consegna, alle autorità. Non sa se ritornerà presto a Cirò Marina, dove lo attendono i suoi quattro fratelli e le sue cinque sorelle. Lui, uomo di mare, è cappellano delle navi Costa dagli anni ’90. Imbarcandosi, ha realizzato un sogno, che coltivava dall’epoca in cui era un giovane prete.

LA FAMIGLIA DI APRIGLIANO (CS) TORNA
A CASA: “UN MIRACOLO ESSERE VIVI”

«E’ un miracolo essere vivi». Valter Cosentini, tra i superstiti assieme alla moglie Cristina Rende e ai due figli di 4 e 9 anni del naufragio della Costa Concordia, è arrivato nella sua casa, ad Aprigliano, nel cosentino, nella notte. «Abbiamo vissuto momenti terribili e indimenticabili» dice. E racconta: «Ho dovuto legare mia figlia alla cinghia per evitare di perderla di vista mentre mia moglie è rimasta con l’altro mio figlio. Ci siamo persi di vista per qualche minuto nel caos delle scialuppe ed è stato drammatico. In quel buio non ci eravamo nemmeno resi conto di essere così vicini alla costa e arrivare a terra è stato molto complicato». E da Cosentini parte anche un grazie per la solidarietà degli abitanti dell’Isola del Giglio.

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