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CROTONE – Un nuovo caso di lupara bianca o un progetto di latitanza? Gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Crotone stanno compiendo perquisizioni a raffica nell’ambito delle indagini sulla scomparsa di Salvatore Sarcone, ma nessuna novità. E mentre salgono a 5 i giorni di irreperibilità, prende sempre più piede l’ipotesi che il presunto coinvolgimento nella rapina d’oro al grossista di gioielli Luciano Colosimo, o comunque i numerosi trascorsi con la giustizia, anche per fatti di sangue, possano avere a che fare in qualche modo con la sparizione del 38enne, presunto affiliato al clan capeggiato dal boss scissionista Leo Russelli, staccatosi dalla cosca madre dei Papaniciari il cui capo storico, Mico Megna, è tornato in libertà nel gennaio scorso dopo un lungo periodo di detenzione. 

Ma in ambienti investigativi, oltre a quella più nera, si valuta anche l’ipotesi di un’eventuale fuga considerato che tra un mese, con la decisione della Corte di Cassazione, potrebbe divenire definitiva la condanna a 10 anni e mezzo di reclusione inflittagli nel maggio 2013, nel processo d’Appello bis scaturito dall’inchiesta Herakles. Nella maxi indagine del pm Pierpaolo Bruni, Sarcone, in particolare, era accusato di aver fatto parte del clan Russelli compiendo estorsioni, gestendo scommesse clandestine, sostenendo alle elezioni amministrative del 2006 il consigliere comunale Giuseppe Mercurio e acquistando droga. 

LA RAPINA “MALEDETTA” – Ma torniamo all’ipotesi di eventuali ritorsioni legate alla rapina in relazione alla quale, nel marzo scorso, il gup distrettuale di Catanzaro inflisse tre condanne e assolse il presunto ideatore del colpo, Gaetano Barilari. Il pentito Domenico Foschini – che secondo le motivazioni della sentenza è sincero perché terrorizzato dall’idea di essere ucciso dai complici, tanto più che gli era stato fatto credere che uno dei rumeni implicati era stato ammazzato per aver preteso somme non concordate – accusa Sarcone, che peraltro non era imputato, di aver preso in consegna in un luogo segreto, da Antonio Musacchio, presunto autista della gang, il bottino consistente in 40 chili d’oro (almeno secondo la denuncia dei familiari della vittima). Ma pare che ai Papaniciari fossero stati consegnati 25 chili, tant’è che nel gruppo sorsero controversie in relazione al reale ammontare del bottino. Fu anche presa in considerazione l’idea di una sovrastima da parte dei congiunti del grossista, data la grossa differenza con i 40 chili di cui parlavano i giornali, ma i contrasti, stando anche ad altri elementi d’indagine, ci furono. Il pentito indica Foschini anche quale fornitore delle divise della Guardia di finanza usate dai rapinatori che poi si accanirono contro Colosimo, ridotto in fin di vita. Sarcone avrebbe riferito di averle avute da un militare, le divise, stando sempre alle rivelazioni. 

Una maledizione sembra essere legata a quella rapina. Un morto all’estero, un pentito terrorizzato, un attentato anche. Rocco De Vona, che al collaboratore di giustizia lametino Giuseppe Giampà avrebbe fatto nomi di persone coinvolte, nel novembre scorso scampò a un agguato a colpi di kalashnikov. In questa fitta serie è da inserire anche la scomparsa?

I FATTI DI SANGUE DEL PASSATO – Sarcone ha avuto a che fare con la giustizia anche per omicidi. A parte la sentenza Herakles, a parte la condanna per narcotraffico a 9 anni inflittagli in Appello, nel luglio scorso, nel processo Tramontana, a parte il patteggiamento del novembre 2004 a due anni per la rapina al Bingo di piazza Pitagora di cui era dipendente, commessa nel marzo di quello stesso anno, Sarcone è stato implicato in due omicidi anche se ne è uscito fuori. Con un’assoluzione nel troncone processuale dell’inchiesta Tramontana relativo ai fatti di sangue, essendo stato ritenuto estraneo dall’accusa di aver avuto un ruolo nell’attirare in una trappola Nunzio Apa, scomparso nel nulla nell’ottobre 2007 e ritrovato in stato scheletrizzato nel settembre 2002 nella spiaggia di Gabella. E con un’archiviazione dall’accusa di aver avuto un ruolo nell’uccisione di Salvatore Arabia, avvenuta a Steccato di Cutro nell’agosto 2003. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere notificata nel novembre 2007 fu annullata dal Riesame. Sarcone, che secondo l’accusa avrebbe guidato la moto a bordo della quale era anche lo sparatore, produsse un alibi: i suoi familiari dissero che all’ora del delitto era in ospedale per un incidente, sempre con la moto, avuto da un fratello. 

Era stato inguaiato dalle dichiarazioni del pentito Domenico Bumbaca che rivelò che Sarcone gli confessò di essere stato promosso a “sgarrista”, un grado alto nella ‘ndrangheta, dopo aver eliminato Arabia e che il suo “parrino”, ovvero Russelli, era rimasto soddisfatto poiché un precedente agguato alla stessa persona non era andato a buon fine. Sarcone avrebbe confessato l’azione criminale alludendo a un certo “saudita”. Bumbaca non capiva. «Arabia saudita, hai capito adesso?». Ma il collaboratore di giustizia fu smentito dall’alibi.

 

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