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Reggio Calabria -Un’azienda milanese, con sedi sparse in tutta Italia, che contava fino a due anni fa quasi mille dipendenti e aveva un volume d’affari di oltre 13 milioni di euro, svuotata e trasformata nel giro di poco più di un anno in uno «zombie» dalla ‘ndrangheta. 
E’ questa la «storia» della Blue Call, impresa che gestiva call center per «le primarie aziende italiane, anche nel settore delle telecomunicazioni», e che ora è stata posta sotto sequestro.   
Una vicenda che viene narrata passo passo nell’ordinanza firmata dal gip di Milano, Giuseppe Gennari e ripresa anche nella carte del Gip Tommasina Cotroneo di Reggio Calabria, nell’ambito del blitz, condotto da polizia, carabinieri e Guardia di, contro la cosca dei Bellocco. La mafia calabrese, si legge nelle carte, «non è un socio di capitali, è un virus che ha come unico scopo quello di impossessarsi della società e spolparla». 
Nata nel 2008 con 87 addetti, la Blue Call (sede a Cernusco sul Naviglio, Milano) nel 2010 aveva già 872 lavoratori. E’ proprio in quell’anno, quando il fatturato sfiora i 14 milioni di euro, che Umberto Bellocco, «giovane rampollo» di una delle più potenti famiglie della Piana di Gioia Tauro, decide di entrare coi suoi uomini nell’azienda, «senza mettere un euro», e in poco più di un anno, stando all’ordinanza, ne assume il controllo. Mentre i “vecchi” titolari, gli imprenditori Andrea Ruffino, piemontese, e Tommaso Veltri, originario di Cosenza – finiti entrambi in carcere – non oppongono resistenza, ma anzi sono loro stessi, scrive il gip, a proporre «il passaggio fittizio di quote ai calabresi». 
In pratica, in questo caso «l’infiltrazione è in qualche modo gradita in quanto i soci espressione della ‘ndrangheta assicurano protezione e difesa all’azienda da attacchi esterni provenienti da altri gruppi criminali. Questa – si legge ancora nell’ordinanza – è la incredibile logica che porta l’imprenditore ad aprire le porte alla mafia».   
Una storia «emblematica della capacità della ‘ndrangheta di impossessarsi di aziende lecite, penetrando nel tessuto imprenditoriale come un virus». 
E al termine di questo percorso, chiarisce il giudice, «la bella s.r.l. è ridotta ad uno zombie controllato da soggetti esterni». Mentre, infatti, venivano mandati a casa, nel giro di due anni, 600 lavoratori (si passa da 872 a 272 addetti), ad amministrare la Blue Call c’era Michelangelo Belcastro (arrestato), una sorta di “testa di legno” dei Bellocco: «in fondo – conclude il gip – doveva solo scaldare la sedia, cercando di non addormentarsi, e mettere le firme dove gli dicevano di metterle».
La stria narrata nella carte delle indagini altro non è che la vicenda di un’azienda sana – che aveva tra i propri clienti società con Vodafon e Sky – che nel giro di un anno diventa la larva di quello che era stata fino a poco tempo prima. Una società, per utilizzare le parole degli imprenditori stessi «se la sono mangiata sti mafiosi di merda che .. nel giro di pochi mesi si sono ciulati 400 mila euro … e rompono pure i coglioni».
 g. bal.

REGGIO CALABRIA – Un’azienda milanese, con sedi sparse in tutta Italia, che contava fino a due anni fa quasi mille dipendenti e aveva un volume d’affari di oltre 13 milioni di euro, svuotata e trasformata nel giro di poco più di un anno in uno «zombie» dalla ‘ndrangheta. E’ questa la «storia» della Blue Call, impresa che gestiva call center per «le primarie aziende italiane, anche nel settore delle telecomunicazioni», finita al centro dell’inchiesta che ha portato oggi alle prime sette condanne con rito abbreviato (LEGGI L’ARTICOLO).   Una vicenda che viene narrata passo passo nell’ordinanza firmata dal gip di Milano, Giuseppe Gennari e ripresa anche nella carte del Gip Tommasina Cotroneo di Reggio Calabria, nell’ambito del blitz, condotto da polizia, carabinieri e Guardia di Finanza, contro la cosca dei Bellocco.

La mafia calabrese, si legge nelle carte, «non è un socio di capitali, è un virus che ha come unico scopo quello di impossessarsi della società e spolparla». Nata nel 2008 con 87 addetti, la Blue Call (sede a Cernusco sul Naviglio, Milano) nel 2010 aveva già 872 lavoratori. E’ proprio in quell’anno, quando il fatturato sfiora i 14 milioni di euro, che Umberto Bellocco, «giovane rampollo» di una delle più potenti famiglie della Piana di Gioia Tauro, decide di entrare coi suoi uomini nell’azienda, «senza mettere un euro», e in poco più di un anno, stando all’ordinanza, ne assume il controllo. Mentre i “vecchi” titolari, gli imprenditori Andrea Ruffino, piemontese, e Tommaso Veltri, originario di Cosenza – finiti entrambi in carcere, con la condanna del primo e il patteggiamento del secondo – non oppongono resistenza, ma anzi sono loro stessi, scrive il gip, a proporre «il passaggio fittizio di quote ai calabresi». In pratica, in questo caso «l’infiltrazione è in qualche modo gradita in quanto i soci espressione della ‘ndrangheta assicurano protezione e difesa all’azienda da attacchi esterni provenienti da altri gruppi criminali. Questa – si legge ancora nell’ordinanza – è la incredibile logica che porta l’imprenditore ad aprire le porte alla mafia».   Una storia «emblematica della capacità della ‘ndrangheta di impossessarsi di aziende lecite, penetrando nel tessuto imprenditoriale come un virus». E al termine di questo percorso, chiarisce il giudice, «la bella s.r.l. è ridotta ad uno zombie controllato da soggetti esterni». 

Mentre, infatti, venivano mandati a casa, nel giro di due anni, 600 lavoratori (si passa da 872 a 272 addetti), ad amministrare la Blue Call c’era Michelangelo Belcastro (arrestato), una sorta di “testa di legno” dei Bellocco: «in fondo – conclude il gip – doveva solo scaldare la sedia, cercando di non addormentarsi, e mettere le firme dove gli dicevano di metterle».La stria narrata nella carte delle indagini altro non è che la vicenda di un’azienda sana – che aveva tra i propri clienti società con Vodafone e Sky – che nel giro di un anno diventa la larva di quello che era stata fino a poco tempo prima. Una società, per utilizzare le parole degli imprenditori stessi «se la sono mangiata sti mafiosi di merda che .. nel giro di pochi mesi si sono ciulati 400 mila euro … e rompono pure i coglioni».

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