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CROTONE – Nell’utilizzare le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, non si possono “‘assemblare’ illogicamente le parti coincidenti di dichiarazioni differenti” e se il principio della cosiddetta ‘frazionabilita” delle dichiarazioni è stato più volte dichiarato valido dalla Cassazione, questo non rappresenta tuttavia un “passepartout”. Lo stabilisce la stessa Suprema Corte, con una sentenza della sesta sezione penale che ha annullato un pronunciamento della Corte d’appello di Catanzaro, rinviandolo ai giudici di merito per un nuovo giudizio. Il 22 giugno 2010 la Corte d’appello, confermando la decisione del Tribunale di Crotone, aveva condannato quatto persone – Fabrizio Arena, Salvatore Arena e Fiore Gentile – per associazione per delinquere di stampo mafioso perchè considerati esponenti della cosca “Arena”; e una quarta, Domenico Magnolia, per favoreggiamento personale, perchè avrebbe aiutato alcuni soggetti a sottrarsi alle indagini nei loro confronti e ad evitare l’arresto. Tutti e quattro hanno presentato ricorso in Cassazione. I primi tre hanno contestato l’utilizzo delle dichiarazioni dei pentiti, che i giudici di merito hanno ritenuto “fonte probatoria fondamentale”. 

La Suprema Corte ha accolto il ricorso ricordando che se “è vero che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la validità del principio di frazionabilità delle dichiarazioni, secondo cui l’attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolge necessariamente l’attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno”, è stato anche più volte precisato che perchè ciò sia ammissibile “è necessario, in primo luogo, che non sussista un’interferenza fattuale e logica” tra la parte ritenuta falsa e le altre. Tra i punti contestati, per esempio, il fatto che si sia dato credito alle dichiarazioni di un pentito che afferma di aver saputo da uno degli imputanti, appartenente a una cosca avversaria, dell’intenzione di uccidere il capoclan di quella cosca. Per il quarto imputato il ricorso è stato accolto limitatamente all’aggravante prevista dal secondo comma dell’art. 378 del codice penale sul favoreggiamento personale (pena non inferiore a 2 anni se il reato è associazione di stampo mafioso).
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