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di LUCIA SERINO
Non conosco il dottore Maglietta, stento anche a metterne a fuoco il
volto. Ma so cos’è il cancro, per averne visto morire mio padre nel giro
di qualche mese. E sa cos’è il cancro anche l’altra parte della mia
famiglia, e la collega che mi siede di fronte, e moltissimi mie amici e
mie amiche. Convivo, come tutti, con la paura di ammalarmi, se incontro
il dottore Mazzeo vedo il senologo e non il politico. Un’analisi
sbagliata (non in Basilicata) mi spinse tre anni fa di corsa a cercare
Veronesi, in preda al panico. No so, confesso, esattamente e nello
specifico cosa ha fatto il dottore Maglietta al Crob ma mi sento
scoraggiata, sconfortata, impaurita a sapere che anch’egli ha fatto
domanda per la direzione del San Carlo. In pratica vuole andarsene
dall’istituto di ricerca di Rionero. Anche Amendola vuole lasciare la
direzione dell’Asp e forse, preso dall’aspettativa, gli interesserà poco
sapere che una visita per mio figlio prenotata a fine maggio mi è stata
fissata il 4 ottobre. Cosa faccio, dottore, attendo o, vista l’età del
bambino, cerco altrove? E cosa dico alla pediatra che, se non faccio
quel controllo, mi rifiuta delle prescrizioni? Ho forza sufficiente per
provvedere, ma è quel posto, quell’ospedale, quel nome — il Crob — che
mi lascia interdetta e sfiduciata cittadina. Avrei pensato la stessa
cosa se al posto di Maglietta ci fosse stato qualcun altro, nulla di
personale, non so — ribadisco – neppure che faccia abbia. Ma me lo
immagino impegnato a tessere rapporti politici piuttosto che a cercare
giovani ricercatori che possano aiutarci a sedare i nostri timori, lo
vedo a rinsaldare relazioni, preoccupato a replicare nei giorni scorsi
ai giornali che no, lui la domanda non l’aveva ancora fatta. Perché il
San Carlo sì e il Crob no? Questione di potere, dicono che quella
poltrona valga più di un assessorato. E questione di scambio politico:
io nomino te, tu garantisci me. E a noi chi pensa? Dei malati delle
nostre famiglie chi si preoccupa? Se il Crob è un centro di eccellenza
perché andarsene? Perché non investire lavoro, energie, anche relazioni
politiche per diventare non dico un missionario alla Gino Strada, ma un
medico che lascia il suo nome, che costruisce il futuro mattone dopo
mattone, che controlla il lavoro del suo gruppo senza retropensieri,
senza pensare che quello è un parcheggio a termine ed è meglio aspirare
a una poltrona forse più remunerata e più prestigiosa. Ognuno ha diritto
per mille ragioni di fare le scelte che si sente di sostenere ma la
politica sia conseguenziale, mostri una volta tanto di credere nelle
cose che decide e non solo di fare calcoli. Molti manager della sanità
lucana hanno fatto domanda per lasciare il posto dove stanno e dove sono
stati nominati con atto fiduciario da quella stessa politica alla quale
ora chiedono di cambiare. Che cos’è questo se non un atto di sfiducia?
Che cos’è se non la prova della volontà di un disimpegno? O si fanno le
domande tanto per farle, tanto per aspirare a ottenere qualcosa? E’ una
scacchiera: avanti uno, indietro l’altro, tanto una pedina del sistema
comunque taglia il traguardo. Se il dottore Maglietta ha deciso di
andarsene, come è evidente dalla domanda che ha fatto, io non lo terrei
un giorno in più al Crob, ovunque ma non al Crob: scelgano un nome che
leghi il suo fare solo e soltanto alla scienza e alla ricerca, che
concentri le sue fatiche ricordandosi sempre di quelli che entrano nel
suo ospedale, che garantisca continuità, che non abbandoni il campo. Chi
si ammala di cancro o muore o rinasce, ne parlavo qualche giorno fa con
una collega, ammalatasi e rinata. Maglietta si accomodi al San Carlo, se
è questo che vuole e se questo gli consentiranno ma lasci subito il
Crob. E abbia forza chi varca quella porta.

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