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C’è il nome del clan Bonavota negli atti giudiziari che hanno portato nel 2009 alla firma del decreto di scioglimento dell’amministrazione comunale di Sant’Onofrio. E il nome della famiglia affiorò anche in occasione della sospensione del rito dell’Affruntata, quando la cittadina balzò alla ribalta nazionale perché il vescovo Luigi Renzo denunciò che c’erano interessi criminali che cercavano di condizionare la tradizionale processione pasquale. 

I Bonavota, insomma, sono legati ai casi più spinosi che hanno visto protagonista Sant’Onofrio. Dagli atti giudiziari presi in considerazione nella relazione del dicastero dell’Interno nel 2009, risulta il ruolo determinante svolto dalla locale cosca Bonavota sia nelle consultazioni elettorali del 2002, sia in quelle del 2007. Al fine di accertare forme di condizionamento degli organi di governo dell’ente, chiaramente ipotizzate dall’autorità giudiziaria, il prefetto di Vibo, Paola Basilone, aveva disposto, con provvedimento del 28 luglio 2008, su specifica delega, la costituzione di una commissione di accesso al Comune di Sant’Onofrio. Le risultanze dell’attività di accesso hanno confermato l’ipotizzata compromissione della «libera determinazione degli organi elettivi e del buon andamento della civica amministrazione». Particolare risalto viene dato, al fine di dimostrare tale condizionamento, alle vicende che hanno connotato le dimissioni presentate da alcuni consiglieri, uno dei quali indagato del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, in occasione della prima discussione avvenuta, in data 6 novembre 2008, in seno al gruppo consiliare di maggioranza, sull’opportunità, per il Comune di Sant’Onofrio, di costituirsi parte civile nel processo “Uova del Drago” contro la cosca Bonavota. Proprio il processo che ora si riapre su disposizione della Corte di Cassazione.

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