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GIOIA TAURO – Il freddo della notte è pungente nei capannoni dell’azienda De Masi. Ed è stato lì che i tre lavoratori hanno trascorso la prima giornata di sciopero della fame. A distanza di 24 ore la fatica comincia a farsi sentire e gli spasmi della fame pure. Ma loro Pasquale, Simona e Carmelo cercano di resistere aspettando che accada qualcosa. Che arrivi un segnale da parte del Governo e soprattutto del Presidente della regione Mario Oliverio. 

Fino a ieri sera tardi nessuna chiamata da parte dei rappresentanti istituzionali. Una sola risposta è arrivata, forse quella più sensibile delle altre, proprio quella che i lavoratori si aspettavano che arrivasse come segno tangibile di solidarietà. Don Luigi Ciotti, il presidente di Libera, lo ha fatto ed ha annunciato una sua visita per venerdì pomeriggio. Don Luigi che conosce la storia della De Masi e dei suoi lavoratori, simboli di una Calabria che cerca di resistere alla ‘ndrangheta e ai poteri forti a cominciare dalla banche, sa che la sua presenza può dare coraggio, stimoli e soprattutto può infondere forza e quando ha saputo dello sciopero della fame e del rischio dei licenziamenti non ci ha pensato un attimo a lasciare ogni cosa per stare vicino ai lavoratori. Una scelta che in tanti dovrebbero fare. E in attesa dell’arrivo di don Luigi, le ore passano.

I colleghi fanno a turno per stare vicino a coloro che hanno scelto la forma estrema di protesta. Ed è proprio in quei momenti di profonda “solitudine e di speranza” che vengono buttati i veli del formalismo. I racconti e gli aneddoti si susseguono uno dietro l’altro. Esperienze di vita, di progetti, si raccontano. Drammi nel dramma più generale. Ammissioni che danno l’idea di cosa significa essere dipendenti della De Masi Costruzioni. Proprio in uno di questi momenti due lavoratori hanno raccontato di come due istituti bancari di Gioia Tauro hanno rifiutato loro un prestito di poche migliaia di euro non appena hanno saputo dalle buste paga che erano dipendenti della De Masi. Cacciati quasi in malo modo senza nessuna spiegazione ufficiale. Quegli stessi istituti che invece in passato avevano concesso fidi ingentissimi senza alcuna garanzia a mafiosi del posto. 

«Questa è l’Italia e la Calabria” ammettono i lavoratori portandosi dietro chissà quante altre umiliazioni o sofferenze e che non raccontano quasi per pudore.
Mani callose da metalmeccanici solo apparentemente duri ma profondamente caldi, capaci di umanità difficilmente paragonabili a quelle dei funzionari degli istituti bancari freddi ed impassibili. Ma è l’incertezza del futuro che gli ferisce più di ogni altra cosa l’anima. Lottano, Cercano di resistere. Lo fanno per i loro figli e per questa terra bella e maledetta, che sta perdendo i suoi giovani migliori. Resistono in attesa di don Luigi Ciotti e di quanti quel giorno decideranno di esserci per costruire un’unica voce di speranza.

E’ fredda la sera quasi sotto le gru del porto di Gioia Tauro, in quei capannoni umidi dove si producono macchine che danno energia alla terra e agli ulivi della Piana. Simboli di un’identità perduta e di un’economia lacerata dalla classi dirigenti, dalle lobby e dalla ‘ndrangheta. Resistono i lavoratori della De Masi e forse stasera riceveranno il saluto e il sostegno di centinaia di immigrati.

La fiaccolata promossa dalla Cgil che dalla tendopoli si dirigerà a San Ferdinando si incrocerà con i capannoni della De Masi. Umanità sofferenti si guarderanno negli occhi e scopriranno molte cose in comune. Il sogno di un futuro diverso è uguale per tutti, in quell’aria industriale che aspetta un segnale da Oliverio e che nel frattempo registra nuovi drammi umani e profonde ferite sociali. Un’area nella quale troppe sono ormai le storie di dimenticanza e di sofferenza.

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