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C’era tutta una città che Elisa l’ha sempre cercata o che, comunque, ha camminato a fianco di questa storia negli anni, chiedendo (e aspettando) verità e giustizia. C’era tutta una città che dall’assassinio di Elisa è stata ferita. E non solo perchè – come dice il giudice Elisabetta Boccassini, nelle motivazioni della sentenza di condanna di Danilo Restivo – Potenza è stata ferita nella sua immagine di città tranquilla, città dal «contesto sociale non pregiudicato da vicende particolarmente violente e spregiudicate». Tra quelle città che «difficilmente» finiscono in tv «all’attenzione della cronaca».
Il capoluogo che il giudice ha deciso di risarcire, attraverso il riconoscimento del danno al Comune di Potenza – che si è costituito parte civile – è la città che «non voleva accettare, né condividere tali forme di violenza». Ecco la scelta della città che – immersa in un «clima di generale sospetto», aggrovigliato tra i vicoli, la chiesa e la piazza del capoluogo – voleva «rivendicare una consuetudine di civiltà e rispetto, propria dei lucani».
A leggere testimonianze, ripercorrere dichiarazioni, riannodare il filo di anni di indagini e commenti, ricerche, si riscopre, dice il gup, anche una certa «paura» (quasi «omertà»), nel raccontare quanto si sapeva, fino a imbattersi, spesso, nella «condizione di sospetto e al tempo stesso di smania di protagonismo». Come non pensare ai ragazzi che per un po’ «si accusavano fra loro del tutto infondatamente, o anche telefonavano alla Rai o si presentavano in Questura per rendere versioni assolutamente inverosimili»?
Vuoi per la giovanissima età di Elisa Claps (scomparsa il 12 settembre del 1993). Vuoi per il «lungo periodo intercorso fino al ritrovamento (il suo cadavere è stato trovato il 17 marzo 2010 nel sottotetto della chiesa della Trinità, ndr)», vuoi per la «eco mediatica» avuta dalla storia.
La condotta di Restivo ha «interferito sulla considerazione» che i cittadini di Potenza avevano della loro città, su come altre comunità l’hanno immaginata, come hanno imparato a raccontarla. E forse pure un po’ come se la sono raccontata gli stessi potentini.
L’analisi del giudice guarda alla città dall’esterno, ne comprende i vizi, ma anche la sofferenza. Perchè la scomparsa (solo dopo anni trasformatasi in certezza di assassinio) di una quindicenne, «in un giorno e in un orario in cui le strade erano piene di gente e dopo che si era recata in chiesa», in una cittadina come Potenza, non può che diventare un «forte attacco» alle certezze della comunità, delle sue istituzioni.
Peggio sapere quello che Elisa aveva dovuto patire «all’interno di una chiesa», la Trinità, così centrale, tanto antica, in una città devota.
Il giudice Boccassini rende «giustizia a Potenza» dice allora il sindaco. Vito Santarsiero ci ha pensato un po’ su, poi ha messo in circolo la dichiarazione persino con un messaggio su Twitter. Perchè sa bene che quei trent’anni di condanna consegnati in primo grado dalla sentenza della Procura di Salerno (Restivo ha scelto di essere giudicato con rito abbreviato) forse possono far giustizia «di un efferato omicidio che ha sconvolto una famiglia e colpito una intera comunità». Ma resta la «ferita indelebile» di Potenza, quella che ha segnato umori, anni, luoghi del capoluogo. Per quella «non c’è cifra che basti».
Avrà diritto al risarcimento anche l’associazione Telefono Donna, pure costituitasi in giudizio. L’associazione che da anni in Basilicata si occupa di violenza contro le donne era lì – in città, come nel processo – a ricordare «le modalità persecutorie con cui Elisa era stata frequentata» e poi uccisa da Danilo Restivo. In quelle modalità l’associazione denunciava «un attacco alle donne, alla loro femminilità e alla loro possibilità di autodeterminarsi». Di questo è stato vittima Elisa, di una «trappola», visto che Danilo era «intenzionato a soddisfare, a qualsiasi costo, i suoi desideri sessuali». «E’ evidente, allora – aggiunge il giudice – che causa dell’incontro prima e dell’assassinio poi, è stato proprio il desiderio sessuale del Restivo, il quale non ha accettato di essere stato rifiutato, così come non ha accettato un ulteriore diniego della vittima, anche una volta rimasti solo». In entrambi vi è stato «un totale dispregio non solo verso l’essere umano ma proprio verso l’essere donna: mondo questo dal quale Restivo era chiaramente attratto, ma in maniera violenta e assolutamente non tollerante». Questione di «sopraffazione» dell’uomo sulla donna e di successive «omertà e false testimonianze», anche «a partire dalle stesse amiche».
Il giudice accoglie la forza della costituzione in giudizio, accoglie e risarcisce i percorsi di solidarietà e ricerca. Potenza, le sue donne, la sua comunità, quella che si è sentita offesa e pure violata. La ferita, quella no. Resta aperta.

Sara Lorusso

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