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REGGIO CALABRIA – Confindustria Reggio Calabria e la sezione provinciale dell’Ance, alla luce del paventato dissesto del comune hanno attivato una serie di azioni al fine di verificare l’esatta portata delle conseguenze che deriverebbero dal default per i creditori dell’ente. Lo si legge in un comunicato. «Tra questi – è scritto – vanno annoverate molte aziende iscritte all’associazione degli industriali e, in particolare, quelle del settore edile, che rappresenta uno dei comparti che «pesano» maggiormente nell’economia reggina. Al fine di chiarire gli eventuali punti controversi della normativa vigente e per fugare ogni dubbio, Confindustria e Ance hanno chiesto un parere «pro veritate» allo studio legale Sutti di Milano, uno più affermati e autorevoli in Italia nella materia del diritto amministrativo. La consulenza del prestigioso staff di professionisti parte dalla disamina della situazione in virtù della delibera 294 che la Corte dei Conti ha emanato il 16 novembre scorso. In tale atto, – si legge – che si inquadra nell’ambito della procedura di accertamento del dissesto disegnata dal testo unico degli enti locali e dal decreto legislativo 149 del 2011, viene rilevata la «mancata adozione da parte del Comune di Reggio Calabria di idonee misure correttive e la conseguente persistenza di gravi profili di criticità ed irregolarità». Per questo i giudici contabili hanno assegnato «un termine di quindici giorni per le eventuali controdeduzioni del caso, disponendo di procedere con ulteriore deliberazione, nel giro di trenta giorni, all’accertamento «definitivo» del perdurare dell’inadempimento e quindi della sussistenza delle condizioni per la dichiarazione di dissesto». 

Tuttavia, sottolinea il parere, il Comune versa in una situazione peculiare, «essendo stato sciolto a fronte dell’accertamento di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso nella prima decade di ottobre 2012. Ciò significa che la prospettata patologica dichiarazione di dissesto dell’ente locale si verrebbe ad innestare all’interno di una situazione già di per sè patologica». Siamo dunque «al di fuori di quella che dovrebbe essere la fisiologica dialettica tra un ente locale autonomo, seppur in sofferenza, e lo Stato». Secondo lo studio Sutti, «la consecutio temporum è certamente impietosa, specie se si considera che il neolicenziato decreto legge n. 174/2012» esclude l’applicabilità della procedura «salva enti» «qualora la sezione regionale della Corte dei Conti abbia già provveduto ad assegnare un termine per l’adozione delle misure correttive previste dall’articolo 1, comma 168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266». Il parere «pro veritate» prosegue con l’indicazione delle conseguenze del fallimento dell’ente in capo ai creditori, stabilite dal testo unico degli enti locali: 
«Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 del TUEL non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione; le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benchè proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese; i pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l’ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge». Inoltre, «alla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 del TUEL i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi nè sono soggetti a rivalutazione monetaria»; e «nei confronti della massa attiva determinata ai sensi dell’art. 255 del TUEL non sono ammessi sequestri o procedure esecutive e le procedure esecutive eventualmente intraprese non determinano vincoli sulle somme». In altri termini, prosegue la consulenza richiesta da Confindustria Reggio Calabria e Ance, «ci si trova in una situazione del tutto analoga a quella di un fallimento vero e proprio, nella misura in cui le disposizioni appena riportate sono in tutto e per tutto finalizzate alla tutela della cosiddetta par condicio creditorum. Va, tuttavia, precisato che, a differenza di quanto accade nel fallimento di una società commerciale, a mancare integralmente – si legge ancora – è il controllo giudiziario, divenendo l’organo straordinario di amministrazione signore e padrone della rilevazione della massa passiva e del relativo tentativo di liquidazione e pagamento. In poche parole è come se in capo al detto organo si sommassero le funzioni del curatore e del giudice delegato di una normale procedura concorsuale».Stando così le cose, – si legge – «al creditore colpito dalla dichiarazione di dissesto» non resterebbe che «presentare una sorta di insinuazione al passivo ex art. 254 del TUEL, tenendo presente che ai fini della rilevazione della massa passiva sono da contemplare anche i debiti di bilancio e fuori bilancio verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, i debiti derivanti dalle procedure esecutive estinte nonchè i debiti derivanti da transazioni compiute dall’organo straordinario di liquidazione». Tuttavia, per gli enti dissestati resta la piena facoltà di «assumere mutui, senza oneri a carico dello Stato, per il finanziamento di passività correlate a spese di investimento». E, d’altro canto, lo stesso TUEL all’articolo 256 lascia adito a pochi dubbi circa le possibilità di un fattivo intervento in termini economici da parte dello Stato: «Nel caso in cui l’insufficienza della massa attiva, non diversamente rimediabile, è tale da compromettere il risanamento dell’ente, il Ministro dell’interno, su proposta della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti, comunque senza oneri a carico dello Stato». Infine, rileva il parere «pro veritate» dello studio Sutti, «i crediti rimasti insoddisfatti nella procedura non sono da ritenersi estinti e gli accessori del credito che rimangono esclusi dalla procedura potranno essere oggetto di un successivo giudizio di recupero crediti». Se questo è l’iter ordinario per la declaratoria di dissesto, non può essere esclusa a priori l’ipotesi dell’adozione delle modalità semplificate che prevedono una «transazione tombale».
«L’organo straordinario di liquidazione, effettuata una sommaria delibazione sulla fondatezza del credito vantato, può definire transattivamente le pretese dei relativi creditori, anche periodicamente, offrendo il pagamento di una somma variabile tra il 40 ed il 60 per cento del debito, in relazione all’anzianità dello stesso, con rinuncia ad ogni altra pretesa, e con la liquidazione obbligatoria entro 30 giorni dalla conoscenza dell’accettazione della transazione».
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