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DOMINUS
FINO
ALLA FINE di LUCIA SERINO segue dalla prima «Volete le elezioni e governare il Paese? Lo volete proprio? Bene — ha scritto l’attrice in una lettera al Fatto Quotidiano rivolgendosi al Pd — via gli indegni dalle vostre liste». E giù i nomi, tra i quali quelli di Antonio Luongo, forse il più potente parlamentare lucano. Di lui non si ricordano né comunicati stampi né interviste, eppure è stato il dominus, forse lo è ancora, regista abile di se stesso fino al punto da decidere di ritirare la candidatura un attimo prima che la commissione di garanzia lo potesse mettere fuori. E’ imputato nel processo Iena 2, da tempo immemorabile, troppo tempo forse (il rinvio a giudizio è del 2009, il procedimento è del 2003). Ma era un fatto a tutti noto che si portasse dietro uno strascico giudiziario irrisolto. E c’è da chiedersi se non fosse stato meglio evitare a priori la candidatura, fare un balzo avanti quando si è posto il problema, ad esempio, dei plurimandati: formalmente era nei limiti (due legislature e mezzo) ma poteva essere un ragionevole pretesto per mettere un punto. A volte l’incalzare degli eventi sfugge a qualsiasi previsione di governo della scialuppa. Anche a un Pd granitico come quello lucano. Certo ha pesato la presenza di un segretario regionale, come Speranza, stretto collaboratore di Bersani. Forzare la mano significava creargli imbarazzi. E lo stesso Speranza avrà avuto un ruolo nella mediazione romana per convincerlo a desistere prima del processo interno. Frana una pedina importante del consenso Pd, tornano a galla vecchie ruggini e agguati irrisolti. Ricordate la vicenda della mail del falso Lospinoso arrivata al Quotidiano? Difendeva Restaino e additava Luongo, pur senza citarlo. Aria di complotti e inciuci mai sedati dei quali, in verità, il politico meno glamour e più potente della Basilicata, sembrava occuparsi per una naturale inclinazione alla tessitura, a volte anche divertendosi e mai replicando, ricucendo e ritramando, come quando parlava andando su e giù, con l’ospite di turno, nel piazzale antistante la caffetteria Mediterranea, il suo vero ufficio. Esce di scena ma forse il verbo va all’imperfetto non è proprio quello corretto 

Molto potè una donna, Franca Rame. Un’attrice, la moglie del giullare. Una donna avanti negli anni, un’antiolgettina per eccellenza. «Volete le elezioni e governare il Paese? Lo volete proprio? Bene — ha scritto l’attrice in una lettera al Fatto Quotidiano rivolgendosi al Pd — via gli indegni dalle vostre liste». E giù i nomi, tra i quali quelli di Antonio Luongo, forse il più potente parlamentare lucano. Di lui non si ricordano né comunicati stampi né interviste, eppure è stato il dominus, forse lo è ancora, regista abile di se stesso fino al punto da decidere di ritirare la candidatura un attimo prima che la commissione di garanzia lo potesse mettere fuori. E’ imputato nel processo Iena 2, da tempo immemorabile, troppo tempo forse (il rinvio a giudizio è del 2009, il procedimento è del 2003). Ma era un fatto a tutti noto che si portasse dietro uno strascico giudiziario irrisolto. E c’è da chiedersi se non fosse stato meglio evitare a priori la candidatura, fare un balzo avanti quando si è posto il problema, ad esempio, dei plurimandati: formalmente era nei limiti (due legislature e mezzo) ma poteva essere un ragionevole pretesto per mettere un punto. A volte l’incalzare degli eventi sfugge a qualsiasi previsione di governo della scialuppa. Anche a un Pd granitico come quello lucano. Certo ha pesato la presenza di un segretario regionale, come Speranza, stretto collaboratore di Bersani. Forzare la mano significava creargli imbarazzi. E lo stesso Speranza avrà avuto un ruolo nella mediazione romana per convincerlo a desistere prima del processo interno. Frana una pedina importante del consenso Pd, tornano a galla vecchie ruggini e agguati irrisolti. Ricordate la vicenda della mail del falso Lospinoso arrivata al Quotidiano? Difendeva Restaino e additava Luongo, pur senza citarlo. Aria di complotti e inciuci mai sedati dei quali, in verità, il politico meno glamour e più potente della Basilicata, sembrava occuparsi per una naturale inclinazione alla tessitura, a volte anche divertendosi e mai replicando, ricucendo e ritramando, come quando parlava andando su e giù, con l’ospite di turno, nel piazzale antistante la caffetteria Mediterranea, il suo vero ufficio. Esce di scena ma forse il verbo va all’imperfetto non è proprio quello corretto. 

 

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