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di ANTONIO ANASTASI
CROTONE  – Dopo aver incassato l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, l’imprenditore Raffaele Vrenna, patron del Crotone calcio, è stato defintivamente scagionato anche da quelle di corruzione elettorale e falso. La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza emessa un anno fa nel processo d’Appello bis scaturito dall’inchiesta Puma con cui fu disposto il non luogo a procedere per prescrizione nei confronti di Vrenna. Nelle motivazioni di quella sentenza,  con riferimento a un interrogatorio reso da Vrenna, l’11 aprile 2005, al pm Antimafia Pierpaolo Bruni, era detto: «risulta in maniera abbastanza chiara che i finanziamenti ricevuti da Dionisio Gallo erano in corrispettivo dell’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni regionali del 2006». Sia l’ex assessore regionale che il patron rossoblù furono prosciolti per prescrizione. In tutto furono cancellate, per sei imputati del processo che scelsero il rito abbreviato, tutte le accuse, mentre altri tre furono assolti. Ma Vrenna e l’ingegnere di Pallagorio Salvatore Tassone hanno fatto ricorso in Cassazione per essere scagionati nel merito, non ritenendosi soddisfatti della prescrizione. 
Andiamo a ritroso. La Cassazione,  nel novembre 2010, annullò con rinvio la sentenza d’Appello del settembre 2009. Il processo per Vrenna era da rifare per i capi d’imputazione per cui fu condannato sia in primo che in secondo grado, e in particolare quelli di corruzione e falso esclusa l’aggravante mafiosa. In Appello era affondata la tesi accusatoria della contiguità tra i colletti bianchi e la ‘ndrangheta e cadde l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa contestata, tra gli altri, a Vrenna, per il quale la pena scese da 4 anni di reclusione, inflitti in primo grado nel giugno 2008, a un anno e 8 mesi. La condanna di Vrenna quale corruttore era ritenuta dalla Cassazione «in contrasto insanabile» con l’assoluzione di Gallo che, secondo l’impianto accusatorio, era il corrotto. Le posizioni dell’imprenditore e dell’ex assessore regionale alla Forestazione sono connesse, infatti, e andavano rivalutate da una nuova sezione della Corte d’Appello di Catanzaro per stabilire se il rapporto corruttivo fosse esistito o no. I due finirono nei guai per un contributo, per l’accusa in cambio di sostegno elettorale alle regionali del 2005, di 100.000 euro al Crotone calcio elargiti dall’ex assessore. Anche il falso era ormai prescritto e ruotava attorno a un abuso edilizio nel villaggio turistico Praialonga di Isola Capo Rizzuto. «E’ lo stesso Vrenna ad affermare – era detto nelle motivazioni della sentenza impugnata – che la domanda di concessione in sanatoria (presentata nel dicembre 2004 al Comune di Isola, ndr) – conteneva l’attestazione falsa dell’esistenza e consistenza di opere edili non ancora iniziate». Nel primo Appello Tassone ebbe una pena di otto mesi per il reato di falso in concorso con Vrenna. 
La Cassazione ha, dunque, accolto la tesi dei difensori di Vrenna (avvocati Francesco Gambardella e Franco Coppi) e Tassone (avvocato Enzo Vrenna). In particolare, l’avvocato Gambardella ha sostenuto che quelle di Vrenna non erano ammissioni di colpevolezza e ha rilevato «il mancato accordo e la mancata erogazione di somme che non consentono di integrare la corruzione elettorale». Circa il falso, invece, «non c’erano atti a firma di Vrenna». 
Vrenna si dimise dalla presidenza del Crotone calcio, alla quale è poi tornato, e da quella degli industriali crotonesi proprio in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta, che portò a una retata sul finire del 2006 e fece luce sul monopolio delle attività economiche di Praialonga in seguito all’estromissione, da parte del clan Maesano, dell’amministratore Stefano Forleo, oggi sotto scorta.

CROTONE  – Dopo aver incassato l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, l’imprenditore Raffaele Vrenna, patron del Crotone calcio, è stato defintivamente scagionato anche da quelle di corruzione elettorale e falso. La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza emessa un anno fa nel processo d’Appello bis scaturito dall’inchiesta Puma con cui fu disposto il non luogo a procedere per prescrizione nei confronti di Vrenna. Nelle motivazioni di quella sentenza,  con riferimento a un interrogatorio reso da Vrenna, l’11 aprile 2005, al pm Antimafia Pierpaolo Bruni, era detto: «risulta in maniera abbastanza chiara che i finanziamenti ricevuti da Dionisio Gallo erano in corrispettivo dell’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni regionali del 2006». 

Sia l’ex assessore regionale che il patron rossoblù furono prosciolti per prescrizione. In tutto furono cancellate, per sei imputati del processo che scelsero il rito abbreviato, tutte le accuse, mentre altri tre furono assolti. Ma Vrenna e l’ingegnere di Pallagorio Salvatore Tassone hanno fatto ricorso in Cassazione per essere scagionati nel merito, non ritenendosi soddisfatti della prescrizione. 

IL LUNGO ITER GIUDIZIARIO – Andiamo a ritroso. La Cassazione,  nel novembre 2010, annullò con rinvio la sentenza d’Appello del settembre 2009. Il processo per Vrenna era da rifare per i capi d’imputazione per cui fu condannato sia in primo che in secondo grado, e in particolare quelli di corruzione e falso esclusa l’aggravante mafiosa. In Appello era affondata la tesi accusatoria della contiguità tra i colletti bianchi e la ‘ndrangheta e cadde l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa contestata, tra gli altri, a Vrenna, per il quale la pena scese da 4 anni di reclusione, inflitti in primo grado nel giugno 2008, a un anno e 8 mesi. La condanna di Vrenna quale corruttore era ritenuta dalla Cassazione «in contrasto insanabile» con l’assoluzione di Gallo che, secondo l’impianto accusatorio, era il corrotto. Le posizioni dell’imprenditore e dell’ex assessore regionale alla Forestazione sono connesse, infatti, e andavano rivalutate da una nuova sezione della Corte d’Appello di Catanzaro per stabilire se il rapporto corruttivo fosse esistito o no. 

IL CONTRIBUTO INCRIMINATO – I due finirono nei guai per un contributo, per l’accusa in cambio di sostegno elettorale alle regionali del 2005, di 100.000 euro al Crotone calcio elargiti dall’ex assessore. Anche il falso era ormai prescritto e ruotava attorno a un abuso edilizio nel villaggio turistico Praialonga di Isola Capo Rizzuto. «E’ lo stesso Vrenna ad affermare – era detto nelle motivazioni della sentenza impugnata – che la domanda di concessione in sanatoria (presentata nel dicembre 2004 al Comune di Isola, ndr) – conteneva l’attestazione falsa dell’esistenza e consistenza di opere edili non ancora iniziate». Nel primo Appello Tassone ebbe una pena di otto mesi per il reato di falso in concorso con Vrenna. La Cassazione ha, dunque, accolto la tesi dei difensori di Vrenna (avvocati Francesco Gambardella e Franco Coppi) e Tassone (avvocato Enzo Vrenna). In particolare, l’avvocato Gambardella ha sostenuto che quelle di Vrenna non erano ammissioni di colpevolezza e ha rilevato «il mancato accordo e la mancata erogazione di somme che non consentono di integrare la corruzione elettorale». Circa il falso, invece, «non c’erano atti a firma di Vrenna». Vrenna si dimise dalla presidenza del Crotone calcio, alla quale è poi tornato, e da quella degli industriali crotonesi proprio in seguito al coinvolgimento nell’inchiesta, che portò a una retata sul finire del 2006 e fece luce sul monopolio delle attività economiche di Praialonga in seguito all’estromissione, da parte del clan Maesano, dell’amministratore Stefano Forleo, oggi sotto scorta.

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