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POTENZA – «Mia madre mi ha mentito per oltre 20 anni. Giovanni non è il mio padre naturale, e non saprò mai chi è quello vero».
Si dice «un guerriero ferito» Angelo Narcisi, il 57enne italo-olandese che per quasi un quinto di secolo ha lottato in Tribunale, chiedendo di essere riconosciuto come figlio ed erede del noto e generoso imprenditore potentino Giovanni Venneri.
Dopo la sentenza della Corte d’appello di Potenza, che lunedì ha rovesciato il verdetto dei giudici di primo grado, Narcisi spiega di aver subito «un colpo durissimo», un dolore «inspiegabile», e di aver vissuto «un dramma». Condiviso coi «familiari di Giovanni», ai quali si rivolge con toni rispettosi.
«Avere un’identità è un diritto sacrosanto per ogni individuo». Aggiunge l’uomo nato a Potenza e cresciuto in orfanotrofio, per poi emigrare, a 19anni, nei Paesi bassi, dove ha messo in piedi una ditta di import-export proprio con l’Italia.
«Giovanni si è comportato per oltre 50 anni come se fosse mio padre». Ribadisce in un italiano difficile. Motivo per cui insiste nel sostenere che questa volontà gli sarebbe stata «impedita». Ma questa è solo la sua idea.
Narcisi non si è dato per vinto nella ricerca del suo vero padre, nemmeno dopo che il confronto tra il suo Dna e quello della salma di Venneri, riesumata a giugno dell’anno scorso, ha dato esito negativo. Anche per provare a darsi una spiegazione plausibile di quel 99% di compatibilità genetica riscontrato dal perito incaricato dai giudici di primo grado, confrontando la sua saliva con quella delle figlie naturali di Venneri.
Credere a un caso è difficile, per questo avrebbe cercato di contattare il fratello dell’imprenditore potentino, scoprendo che anche lui è morto qualche anno fa. Quindi suo figlio, che oggi vivrebbe in alta Italia e a sorpresa si sarebbe detto subito disponibile a offrire un tampone di saliva, per sapere se quello che aveva di fronte era davvero un fratello di cui non aveva mai sentito parlare.
Purtroppo anche questo test avrebbe dato «risultato negativo». «Quindi non faccio geneticamente parte della famiglia Venneri». Ammette Narcisi. Salvo aggiungere «che comunque Giovanni è stato mio padre, nella mente e nel mio cuore, avendo sempre avuto contatti con lui».
L’imprenditore italo-olandese racconta anche di un duro chiarimento con la madre, quando sono stati depositati i risultati della seconda perizia genetica, quella sul Dna della salma di Venneri. Al Quotidiano ha inviato una registrazione in cui si sente una donna che lui chiama «mamma» piangere e disperarsi fino ad ammettere di avergli mentito.
Suo padre – a detta della donna – sarebbe stato un semplice avventore del bar di proprietà di Giovanni Venneri, a Potenza, di fronte alla caserma di Santa Maria, dove lei lavorava quando è rimasta in cinta. Un uomo di cui non sarebbe in grado di ricordare nemmeno il nome, e che l’avrebbe portata una volta sola a casa sua.
Ma a questo punto Narcisi non le crede più e pensa che la madre gli starebbe mentendo ancora.
Il 57enne ha sempre sostenuto di aver conosciuto Giovanni Venneri, fondatore della grande utensileria di via della Fisica, in orfanotrofio, dove gli avrebbe fatto visita periodicamente.
Il loro rapporto sarebbe proseguito anche dopo la sua partenza per l’Olanda con gli auguri per le ricorrenze più importanti. Di qui la decisione di chiedere l’accertamento di paternità alla sua morte, nel 1996. Un’azione giudiziaria a cui gli eredi dell’imprenditore si sono opposti con decisione, chiusa undici anni dopo in primo grado con la sentenza del Tribunale, appena ribaltata in maniera clamorosa dai giudici della Corte d’appello.

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