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CATANZARO – Dieci miliardi di Pil in meno all’anno, meno 6 per cento di produttività. Questo significa che ogni anno la corruzione sottrae alle tasche di ogni italiano 170 euro annui di reddito non prodotto, secondo una proiezione sulla stime della Banca Mondiale. I dati emergono dal dossier di Libera, Avviso Pubblico e Legambiente denominato “’Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce e inquina il Paese” numeri inquietanti. Impossibile immaginare che il fenomeno non coinvolga la Calabria, segnata troppe volte dagli intrecci tra politici, istituzioni, malavita organizzata e imprese. Ed infatti, il focus sulla Calabria che emerge dal dossier è allarmante. La nostra è, infatti, la regione con il maggior numero di arresti per corruzione, ben 224, seguita da Piemonte (210) e Lombardia (199), ma è anche al secondo posto per numero di inchieste condotte sul fenomeno; otto quelle mosse dalla magistratura calabrese, quanto Campania e Toscana, precedute solo dalla Lombardia. 

Ma le associazioni che hanno curato i dati hanno posto anche l’accento sulla varietà di fenomeni corruttivi. Riscontrando in Calabria la rete più intricata di rapporti ed esempi da citare. Secondo il dossier, infatti, una delle inchieste più significative per comprendere l’intreccio di affari illeciti che lega mafie, corruzione e ciclo del cemento è stata quella denominata “Entourage” (2010) della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, che ha ricostruito un sistema illegale nel settore dei lavori pubblici basato sui rapporto tra imprenditori e mafiosi (sono più di 50 le persone coinvolte) per dividersi la “torta” degli appalti. Arrivata nel mese di marzo alla fase processuale con rito abbreviato, “Entourage” ha confermato l’esistenza di un cartello di imprese che, in regime di monopolio, gestiva tutti gli appalti turbando le aste pubbliche. 

«In pratica, grazie all’opera di 26 professionisti esperti – è scritto nel documento – gli imprenditori e i mafiosi riuscivano a ottenere le aggiudicazioni, predisponendo, a tavolino, le offerte in modo da preordinare il nome della ditta vincitrice. In alcuni casi ci si consentiva anche di cedere l’appalto aggiudicato, previo pagamento della tangente “in natura”, utilizzando per altro lavoro manovalanza e macchinari della ditta favorita». 

Ma non è l’unica annotazione per la regione. Dal momento che, sempre restando in Calabria, ha fatto scalpore l’inchiesta “Urbanistica”, condotta dalla polizia, che si è abbattuta sul Comune di Reggio Calabria: in manette sono finiti funzionari e impiegati che incassavano denaro per velocizzare l’iter del rilascio delle concessioni edilizie. «Un sistema di potere illegale talmente radicato – notano dalle associazioni che hanno curato il dossier – da essere rimasto in piedi anche dopo il trasferimento di alcuni dirigenti da un settore a un altro. Un sistema incancrenito, secondo il dossier, che ha operato indisturbato dal 2001 al 2009, quando è stata depositata la relazione della commissione d’inchiesta istituita dal Consiglio comunale (e guidata dall’ex consigliere comunale di opposizione Nuccio Barillà, della segreteria nazionale di Legambiente) a seguito di alcune denunce anonime circa una situazione generalizzata di illeciti e gravi disfunzioni. Secondo i magistrati il settore Urbanistica era a rischio “mazzette” e avrebbe favorito le pratiche di alcuni studi professionali della città».

In questo ambiente, e con questo panorama di esperienze e di collusioni, si registra, però, un dato inquietante. Perché è vero che la Calabria è la prima per numero di arresti per corruzione, ma è anche la regione dove non arrivano le condanne per questi reati. Un allarme a livello nazionale, che si è evoluto di anno in anno in maniera sempre più marcata, e che non esclude la nostra regione. Si passa, infatti, da oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 ad appena 295 del 2008, circa un settimo, con una tendenza che si accentua a partire dal 2001. In molte regioni la discontinuità diventa vero e proprio tracollo: da 138 condanne nel 1996 a 5 nel 2006 in Sicilia; da 545 a 43 in Lombardia; da 206 a 5 in Campania; da 19 a nessuna in Calabria, da 110 a 9 in Veneto. 

Guardando alla densità rispetto alla popolazione delle denunce per corruzione e concussione tra il 2004 e il 2010, il Molise vince la palma di regione con il più alto tasso di corruzione denunciata, seguito da altre regioni centro- meridionali, in particolare quelle caratterizzate da un tradizionale radicamento delle organizzazioni mafiose: Campania e Calabria seguono a ruota il Molise, Sicilia e Puglia sono tra le ultime sette. 



 

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