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Una storia da raccontare, quella di Francesco Plateroti, 55 anni, emigrato a Genova con la famiglia da Cinquefrondi nel 1963 quando aveva appena 7 anni, uno degli eroi della tragedia che ha colpito Genova. Con modestia e semplicità dice di «aver fatto solo quello che doveva fare» e non accetta l’etichetta di eroe: «Io ho fatto solo il mio dovere» dice al telefono quando lo chiamiamo.
Eppure ha rischiato la vita per salvare due persone nell’infermo di Genova dopo l’inondazione del 4 novembre. «La pioggia era iniziata a cadere fitta già dalla sera precedente – racconta Francesco -. Io avevo fatto il turno di notte, lavoro come benzinaio presso una stazione di servizio a Genova ovest . Ero rientrato a casa alle sei di mattina e mi ero messo a dormire». Francesco abita al numero civico 2/b della via Fereggiano che è stata lo scenario degli eventi più drammatici della tragedia genovese. Lo stabile nel quale Plateroti vive ha una cantina. «Intorno a mezzogiorno – ricorda – mi sveglia mia nipote Chiara e mi dice: “zio guarda quanta acqua, le macchine vengono trascinate come birilli”. Mi alzo subito, corro nelle scale e sento gridare richieste d’aiuto. Scendo ancora giù fino alla cantina. L’acqua era già arrivata ad oltre un metro e settanta centimetri dal suolo. Mi accorgo che ci sono due persone con l’acqua alla gola. Urlano, chiedono aiuto. Cerco in tutti modi di poterli agganciare e tirali fuori dall’acqua. Faccio alcuni tentativi che vanno a vuoto».
Il rischio che Francesco correva era quello di venire travolto anche lui dall’acqua. «Non potevo, però, risalire – afferma -. Quelle grida di aiuto non potevano cadere nel vuoto. Per fortuna trovo un pezzo di legno. Mi sono immerso nell’acqua e sono riuscito a far arrivare il legno fino al ragazzo che riesce ad aggrapparlo. Riesco a farlo spostare quel tanto che basta fino a quando non riesco ad afferrarlo e tiralo su». Il racconto prosegue a singhiozzo perchè quei momenti drammatici lo hanno segnato: «Li ricorderò finchè avrò vita; il ragazzino gridava “c’è la mamma c’è la mamma”, ma io non la vedevo più, non ho potuto fare niente. Sono riuscito a tirare fuori lui e un anziano, che tra l’altro conosco. Ma gli altri non si vedevano più». Francesco ha salvato due persone da morte certa: un ragazzo di 15 anni e a un sessantatrenne che avevano già il fango alla gola. Ma non è riuscito a strappare dal fango la mamma del ragazzo e le altre quattro persone morte nella cantina del suo condominio, in tutto tre donne, la mamma e due bambine di origine albanese.
Francesco l’eroe nel fango di Genova, ricorda con gli occhi gonfi quell’onda di piena che è arrivata da Marassi a Brignole superando come un fuscello il grande ponte stradale di Castelfidardo, ha invaso il sottopasso Canevari, accanto alla stazione ferroviaria. Lui figlio di calabresi strappati alla loro terra per motivi di lavoro e di sopravvivenza proprio come quella famiglia albanese che era venuta in Italia per trovare un futuro migliore. Storie che si incrociano nel dramma e nella sofferenza.

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