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L’ALTRO giorno c’era chi lo accarezzava come si fa con la gobba: porta bene (?). Ieri, invece, la notizia del corno di podolica è diventata virale sui social e sono scattati i contro-loghi della partecipazione lucana a Expo2015: in uno, firmato Onda Lucana, il corno s’è raddoppiato e si posa sulla sagoma della Basilicata; in un altro, opera di Enzo Carnevale, la stessa sagoma presenta, come dire, la parte posteriore con formose fattezze umane mentre il corno torna a essere uno ma particolarmente minaccioso… La didascalia fa il resto: “Specializzati in prese per il culo e figure di merda”.
Gianni Oliva, il dg Agricoltura che l’altro ieri ha introdotto la cerimonia di svelamento del corno di podolica che in realtà è un timbro («I cinesi mi hanno insegnato che è più importante della firma»), ha argomentato dicendo che è la vacca lucana il simbolo davvero unificatore, non c’è cucù materano che tenga. A Potenza qualcuno può ribattere che in effetti anche la podolica è più materana che altro. Ma tant’è. Il dibattito è ufficialmente aperto.
E il bello è che il corno titilla tanto a destra quanto a sinistra: Donato Ramunno, su fb, introduce il topic cornuti-e-mazziati e incassa parecchi like e qualche commento controcorrente (Salvatore Zambrino: «La vacca è simbolo di fertilità»), immancabili battute in tema di tradimenti (Anna Santarsiero: «Meglio uno che due!»), ricarichi in chiave zoo-politica (Marianna Becce «… e pecoroni!»), riflessioni tranchant (Mary Zirpoli: «Con tante peculiarità… Come peggiorare l’immagine di un’intera regione») e un’analisi semiotica interessante: «Saranno ritornati alla comunicazione “ancestrale”?» (Teresa Lettieri). Ecco, in effetti è vero che nel tripudio di startupper innovazione know-how e anglicismi più o meno renziani, la politica sceglie – o meglio subisce, visto che Pittella alla fine quel benedetto corno l’ha ricevuto in regalo – una simbologia rurale e alquanto passatista.
Il rischio dell’operazione, però, è duplice: da un lato far scadere nell’oleografia bucolica una terra, e con essa i suoi abitanti che non riescono a scrollarsi di dosso l’etichetta di bovari, pastori e pecorai: marchio a fuoco che va dai vecchi luoghi comuni alle intercettazioni del Totalgate (in cui, in uno snob ed elitarissimo francese, due cugini d’oltralpe “coglionavano”, per usare un altro francesismo, i lucani dediti alla pastorizia come se parlassero di una riserva paleolitica) fino al docente Uniba Federico Pirro, che due mesi fa in un’articolessa sul Foglio a commento della criticatissima puntata di PresaDiretta sul petrolio chiudeva scrivendo: «Se lo si vorrà, a causa dell’estremismo ecologista, l’Eni potrebbe anche andarsene dall’Italia e dalla Basilicata, cosicché – là dove Rocco Scotellaro celebrava l’uva puttanella – tornerebbero finalmente i pecorai e i morti di fame».
Il secondo rischio lo corrono proprio i politici che hanno adottato il corno di podolica prestandosi al pubblico (nel senso di social) ludibrio. Il che, in un certo senso, ce li rende pure più simpatici: sapevano a cosa sarebbero andati incontro, troppo facile scegliere un prezioso (e magari costoso) amuleto a goccia d’acqua – o di petrolio, fate voi.
Che poi, nei secoli, il corno è stato apotropaico simbolo di ricchezza (la cornucopia della mitologia classica retrocessa a simbolo della Lotteria Italia) e non dobbiamo dimenticare che dall’altra parte del Pollino, a Papasidero, c’è una delle incisioni rupestri più importanti del mondo: nel caso della Grotta del Romito, peraltro, le due corna stilizzate del “bos primigenius” sono spiccicate spiccicate quelle della discordia. In più, ora che il ritorno alla terra è tornato a essere figo al netto delle mode di anti-sviluppismo e della retorica della decrescita felice, l’operazione Corno potrebbe avere anche un suo quid. Ed esporre con fierezza contadina un cimelio bovino nelle occasioni ufficiali davanti a una platea potenzialmente planetaria suona quasi come riscatto: non chiamateci bovari, o meglio se lo fate sappiate che non è una parola dispregiativa quindi più che offenderci ci lusingate!
Ma il problema è un altro: «Non oso immaginare tutto il repertorio di pseudo civiltà contadina che accompagnerà il corno», prendendo in prestito la (condivisibile) paura di Maria Spagna su fb, a commento della simpatica immagine di Carnevale. Che risponde: «Pizziche e tarantelle». «E costumi da pacchianelle», ribatte lei. Forse a questo punto sarebbe davvero il caso di puntare sull’uva puttanella di Scotellaro, visto l’alto tasso di escort presenti a Milano. Giovanna Meconi Cuoco stoppa tutti e suggerisce di «non dare idee». Attenti, però, ché i creativi sono in agguato e fino all’8 maggio c’è tempo.

e.furia@luedi.it

 

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