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dall’inviato 
VALERIO PANETTIERI
MARATEA – Maratea e Rio De Janeiro, il Cristo del Corcovado che abbraccia la metropoli e il Redentore che abbraccia il mare. Troppo riduttivo pensare alla “Giornata mondiale della gioventù” di Maratea come una sorta di “sottoclasse”. 
Perché qui o al di là degli Oceani non fa molta differenza. Almeno per questi ragazzi, tantissimi appena liceali, che hanno scelto di condividere insieme due giorni armati di sacchi a pelo e buone intenzioni. 
Si gioca sui contrasti: da una parte l’aura di spiritualità, dall’altra quell’interpretazione più “giovanile” della fede che ha aspetti talvolta contrastanti, a volte apertamente innovativi, quasi a presentarsi con una funzione nuova ed un linguaggio che è “altro” rispetto all’austerità della religiosità adulta. 
Che ci sia qualcosa di completamente differente lo si vede subito a piazza Europa: un dj, canzoni addirittura che potrebbero sembrare apertamente in guerra con il cattolicesimo stesso, ma il tutto intriso di un’innocenza leggera, tenera, difficilmente interpretabile. 
Questi ragazzi fanno parte della gioventù cattolica, hanno nelle orecchie e nei loro telefonini la musica elettronica, le chitarre distorte, i tempi martellanti del presente, eppure sanno a memoria tutti i canti, le preghiere, le storie, il Vangelo. 
Pendono dalle labbra di chi, come Elisa, una ventiquattrenne di Bari o Loredana, che arriva da Taranto, raccontano la loro esperienza, le storie di conversione o superamento della malattia attraverso lo specchio della fede. 
C’è qualcosa che ricorda vagamente un raduno hippie, solo che da queste parti il massimo della trasgressione è fumarsi una sigaretta nascondendosi agli occhi del parroco. E sono soli, spesso senza genitori al seguito. 
Una comunione che ha sensi molteplici: la prima può essere quella della fede, ma anche il semplice fatto di esserci, scambiarsi opinioni, conoscersi e magari anche innamorarsi sotto un impressionante sole estivo nel bellissimo scenario di Maratea. 
Nel nome della fede ma anche della vita in sé, aspetto decisamente divino se la si guarda con gli occhi di questi ragazzi. 
Ed eccoli quindi alzare braccia al cielo all’unisono, intonare balli e canti mentre le casse spingono musica sintetica ed ipnotica, o magari emozionarsi sotto Ligabue, la Carrà e perché no, far ballare a  un prete anche “Ymca”, la canzone simbolo del movimento gay internazionale. 
Si gioca di contrasti che hanno i linguaggi non standardizzati, fuori dai modelli comunicativi che possono avere gli adulti. I balli di gruppo sono un pretesto per stare insieme. 
Intanto la Protezione civile, consegna bottiglie d’acqua gratuite, i bagni chimici sono a regime, si creano capannelli intorno un furgoncino che spara acqua nebulizzata. 
Sembra di essere in un piccolo festival rock, eppure il contesto è diverso. 
La compostezza si manifesta quando arriva il momento della preghiera, con i due arcivescovi Nolè e Superbo che dal palchetto di piazza Europa trasformano questo suono caotico in un momento di contemplazione. 
I ragazzi, seduti a terra, pregano, davanti la croce simbolo della Gmg. Pregano e ascoltano le parole e le testimonianze di chi ha scoperto la fede e spinge ad aprirsi, a seguire e far seguire la parola di Dio. 
Ed è così fino a quando i ragazzi non si dispongono ordinatamente dietro la croce, trasportata a turno, mentre si comincia la scalata a piedi fino al Redentore. 
Passano dal paese che li attende, affacciati alle finestre, esponendo bandiere con i colori vaticani, applausi, sorrisi, un collegamento transgenerazionale che sorprende anche gli occhi del laico. 
Eccoli i ragazzi, con maglie che intonano ai canti di pace di John Lennon, le fasce tra i capelli, chitarre acustiche, djembè, bonghi: tutto quel simbolismo pacifista mutuato dal movimento hippie, ma con una consapevolezza diversa.
Consapevolezza però che è anche figlia della modernità. 
Giovanni, che arriva da Matera, ha 19 anni ed è venuto assieme a Simona, la sua compagna. Per loro non c’è molto da discutere su contraccezione e aborto. 
«Non possiamo fare a meno dell’amore, siamo una coppia e ci amiamo, avremmo qualcosa da ridire sul sesso occasionale, certo», e sull’aborto?.
«È una domanda difficile, ma restiamo contrari all’uccidere una vita, seppur in formazione». 
Ma questi ragazzi portano con loro una parola nuova. Sono contro la droga senza sconto alcuno e c’è un gruppo, i Nova, che suona sul palco allestito vicino al Redentore, che canta una canzone per ricordarsi che la droga non è la strada giusta, ma sono favorevoli alla contraccezione se di fronte a loro hanno un compagno o una compagna fedele. 
Non amano affatto senti parlare di aborto, ma non sono neanche “pro-life” senza discussioni: dividono ed immaginano, come dice Emma: «Una situazione di violenza, dove magari una giovanissima si trova invischiata in qualcosa di più grande, lì forse dovremmo pensarci due volte a dire se siamo o meno contrari all’aborto». 
E così la pensano in tanti, anche se c’è chi non transige, come Luigi che è lapidario: «La vita è vita e va protetta dall’inizio». 
Ma questi duemila ragazzi accorsi qui portano nel cuore qualcosa di molto simile all’immagine del nuovo Papa, Francesco . È una conversione dei giovani ma anche della Chiesa, intesa come istituzione. Lo si capisce dagli slang, dalla libertà critica e dall’assoluto pensiero fluido di questi ragazzi, di nuovo in preghiera sotto un palco una volta terminato il concerto e in attesa del collegamento con Rio De Janeiro. Per evitare accampamenti disordinati alcuni hanno fatto cordone attorno al palco. Per il resto si mangia, si sta insieme su stuoie, coperte e sacchi a pelo. E poi fai i conti anche con una frase di Jovanotti, “detournata”, come a dire: siamo diversi, non rappresentiamo la totalità dei ragazzi dediti all’effimero: “Ciao mamma – recita il manifesto – guarda come mi converto”.
v.panettieri@luedi.it

Maratea e Rio De Janeiro, il Cristo del Corcovado che abbraccia la metropoli e il Redentore che abbraccia il mare. Troppo riduttivo pensare alla “Giornata mondiale della gioventù” di Maratea come una sorta di “sottoclasse”. 

 

Perché qui o al di là degli Oceani non fa molta differenza. Almeno per questi ragazzi, tantissimi appena liceali, che hanno scelto di condividere insieme due giorni armati di sacchi a pelo e buone intenzioni. Si gioca sui contrasti: da una parte l’aura di spiritualità, dall’altra quell’interpretazione più “giovanile” della fede che ha aspetti talvolta contrastanti, a volte apertamente innovativi, quasi a presentarsi con una funzione nuova ed un linguaggio che è “altro” rispetto all’austerità della religiosità adulta. Che ci sia qualcosa di completamente differente lo si vede subito a piazza Europa: un dj, canzoni addirittura che potrebbero sembrare apertamente in guerra con il cattolicesimo stesso, ma il tutto intriso di un’innocenza leggera, tenera, difficilmente interpretabile. 

Questi ragazzi fanno parte della gioventù cattolica, hanno nelle orecchie e nei loro telefonini la musica elettronica, le chitarre distorte, i tempi martellanti del presente, eppure sanno a memoria tutti i canti, le preghiere, le storie, il Vangelo. 

Pendono dalle labbra di chi, come Elisa, una ventiquattrenne di Bari o Loredana, che arriva da Taranto, raccontano la loro esperienza, le storie di conversione o superamento della malattia attraverso lo specchio della fede. C’è qualcosa che ricorda vagamente un raduno hippie, solo che da queste parti il massimo della trasgressione è fumarsi una sigaretta nascondendosi agli occhi del parroco. 

E sono soli, spesso senza genitori al seguito. Una comunione che ha sensi molteplici: la prima può essere quella della fede, ma anche il semplice fatto di esserci, scambiarsi opinioni, conoscersi e magari anche innamorarsi sotto un impressionante sole estivo nel bellissimo scenario di Maratea. Nel nome della fede ma anche della vita in sé, aspetto decisamente divino se la si guarda con gli occhi di questi ragazzi. Ed eccoli quindi alzare braccia al cielo all’unisono, intonare balli e canti mentre le casse spingono musica sintetica ed ipnotica, o magari emozionarsi sotto Ligabue, la Carrà e perché no, far ballare a  un prete anche “Ymca”, la canzone simbolo del movimento gay internazionale. Si gioca di contrasti che hanno i linguaggi non standardizzati, fuori dai modelli comunicativi che possono avere gli adulti. I balli di gruppo sono un pretesto per stare insieme. Intanto la Protezione civile, consegna bottiglie d’acqua gratuite, i bagni chimici sono a regime, si creano capannelli intorno un furgoncino che spara acqua nebulizzata. 

Sembra di essere in un piccolo festival rock, eppure il contesto è diverso. La compostezza si manifesta quando arriva il momento della preghiera, con i due arcivescovi Nolè e Superbo che dal palchetto di piazza Europa trasformano questo suono caotico in un momento di contemplazione. I ragazzi, seduti a terra, pregano, davanti la croce simbolo della Gmg. Pregano e ascoltano le parole e le testimonianze di chi ha scoperto la fede e spinge ad aprirsi, a seguire e far seguire la parola di Dio. Ed è così fino a quando i ragazzi non si dispongono ordinatamente dietro la croce, trasportata a turno, mentre si comincia la scalata a piedi fino al Redentore. 

Passano dal paese che li attende, affacciati alle finestre, esponendo bandiere con i colori vaticani, applausi, sorrisi, un collegamento transgenerazionale che sorprende anche gli occhi del laico. Eccoli i ragazzi, con maglie che intonano ai canti di pace di John Lennon, le fasce tra i capelli, chitarre acustiche, djembè, bonghi: tutto quel simbolismo pacifista mutuato dal movimento hippie, ma con una consapevolezza diversa.

Consapevolezza però che è anche figlia della modernità. Giovanni, che arriva da Matera, ha 19 anni ed è venuto assieme a Simona, la sua compagna. Per loro non c’è molto da discutere su contraccezione e aborto. «Non possiamo fare a meno dell’amore, siamo una coppia e ci amiamo, avremmo qualcosa da ridire sul sesso occasionale, certo», e sull’aborto?.«È una domanda difficile, ma restiamo contrari all’uccidere una vita, seppur in formazione». Ma questi ragazzi portano con loro una parola nuova. 

Sono contro la droga senza sconto alcuno e c’è un gruppo, i Nova, che suona sul palco allestito vicino al Redentore, che canta una canzone per ricordarsi che la droga non è la strada giusta, ma sono favorevoli alla contraccezione se di fronte a loro hanno un compagno o una compagna fedele. Non amano affatto senti parlare di aborto, ma non sono neanche “pro-life” senza discussioni: dividono ed immaginano, come dice Emma: «Una situazione di violenza, dove magari una giovanissima si trova invischiata in qualcosa di più grande, lì forse dovremmo pensarci due volte a dire se siamo o meno contrari all’aborto». E così la pensano in tanti, anche se c’è chi non transige, come Luigi che è lapidario: «La vita è vita e va protetta dall’inizio». Ma questi duemila ragazzi accorsi qui portano nel cuore qualcosa di molto simile all’immagine del nuovo Papa, Francesco . È una conversione dei giovani ma anche della Chiesa, intesa come istituzione. 

Lo si capisce dagli slang, dalla libertà critica e dall’assoluto pensiero fluido di questi ragazzi, di nuovo in preghiera sotto un palco una volta terminato il concerto e in attesa del collegamento con Rio De Janeiro. Per evitare accampamenti disordinati alcuni hanno fatto cordone attorno al palco. Per il resto si mangia, si sta insieme su stuoie, coperte e sacchi a pelo. E poi fai i conti anche con una frase di Jovanotti, “detournata”, come a dire: siamo diversi, non rappresentiamo la totalità dei ragazzi dediti all’effimero: “Ciao mamma – recita il manifesto – guarda come mi converto”.

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