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POTENZA – La cornice, per parlare disagio sociale, è la Cittadella. Uno dei luoghi più difficili della città, isolato anche fisicamente dal capoluogo. Ma Bucaletto è anche, in questo momento, il luogo della ripartenza. Perchè verranno convogliati qui i fondi europei destinati al Piano della città. E saranno tanti soldi, necessari soprattutto per dare una concreta risposta all’emergenza abitativa.
Ma a Bucaletto c’è anche la sede del Centro Caritas diocesano, che grazie al lavoro quotidiano di Marina Buoncristiano e sua figlia Giorgia, ma anche di tantissimi operatori volontari, prova a dare concrete risposte contro il disagio. Ma ora «bisogna cambiare l’angolo di visuale».
E ieri, nella chiesa della Cittadella, questa nuova angolazione si è cercato di trovare, per guardare alla carità come a una risorsa, che possa creare unione (e quindi forza) capace di superiore una situazione che si fa ogni giorno più drammatica.
Nel 2014 – tanto per fare qualche numero – nella diocesi di Potenza, attraverso le varie parrocchie, sono state aiutate concretamente circa 6.000 famiglie, 4.000 solo a Potenza. E sono numeri enormi per una città di poche migliaia di abitanti. «In questi anni – dice Marina Buoncristiano – a rivolgersi a noi sono state famiglie italiane. Fino al 2006 non era così, a noi si rivolgevano in larga parte gli extracomunitari. Oggi quei dati si sono invertiti, il 90% delle famiglie che si rivolge a noi è composto da cittadini italiani. Parliamo di nuclei anche di 5 o sei persone, quindi numerosi. E molte volte – ed è questo uno dei dati più drammatici – ci sono dei minori cui viene negata un’infanzia serena. E sembrerà strano, ma anche nella nostra civilissima Potenza ci sono bambini che soffrono la fame, che non vanno a scuola. In quest’ultimo biennio il dato sull’abbandono scolastico si è fatto davvero preoccupante».
Cosa fare allora? «Tra i miei sogni infranti – ha detto Michele Basanisi, direttore della Caritas diocesana – ce n’è uno in particolare: se ogni cittadino di Potenza avesse donato un solo euro al mese ora avremmo ogni mese 67.000 euro da utilizzare per le politiche sociali. E sarebbe un grande aiuto. Ma è un sogno infranto. Così partiamo da noi stessi, dalle famiglie. Condividendo risorse e problemi. La parola è “insieme”: se non si costruisce insieme non si va da nessuna parte. Ricordiamoci che tanto più alto è il numero dei poveri, tanto più basso è il livello di civiltà». La solidarietà, l’accoglienza, quindi, non solo per le famiglie ma tra le famiglie.
Partendo da un presupposto: le casse comunali in questo momento sono vuote e, soprattutto per le politiche sociali, i servizi verranno ridotti ancora di più. «Nei ultimi anni – ha detto il sindaco Dario De Luca – si è speso più di quanto è entrato. E qualsiasi famiglia sa che se entrano 1.000 euro non puoi spenderne 1.500».
Come siamo arrivati a questa situazione? «Siamo passati da un presidente della Regione che ci diceva che era tutto a posto a uno, l’attuale, che ci sta dicendo che stiamo morendo. Di chi è la responsabilità?». Ed è spietata l’analisi dell’economista Nino D’Agostino.
«Stiamo vivendo una crisi terribile, la tempesta perfetta – dice – ma abbiamo una classe dirigente regionale che fa fatica a capire quanto sta accadendo. Questa gravissima recessione noi lucani la stiamo pagando ancora più cara degli altri. E il fatto che ogni anno perdiamo 2.000 abitanti ne è la chiara testimonianza. E’ come se ogni anno sparisse un’intero paese. Ma questo non preoccupa. Non preoccupa che quelle che stiamo perdendo sono soprattutto forze giovani. Non si percepisce la gravità. E questo sta impoverendo sempre più il ceto medio, mentre ci sono due terzi della regione che neppure ce la fanno. Questo perchè succede? Perchè le politiche regionali sono organizzate perchè gli ultimi restino ultimi. Ed è per questo che il 45% delle famiglie lucane viene volutamente lasciato in condizioni drammatiche. Un uomo libero dal bisogno non puoi controllarlo».
Eppure questa è una terra che le risorse ce l’ha. E siamo talemnte pochi che «le risorse sono superiori al fabbisogno».
«Ma volutamente manca una visione di sviluppo regionale, in 44 anni non è mai stato fatto un Piano territoriale, non siamo in grado di sfruttare le risorse del turismo. E, ancora più grave, proprio in questa fase manca un Piano di sviluppo del lavoro. Andiamo avanti alla giornata. E il motivo – continua D’Agostino – è che abbiamo istituzioni estrattive, che estraggono ricchezza per il proprio tornaconto. Si sottraggono risorse per finanziare le truppe cammellate che organizzino il consenso. E si fa assistenza e non sviluppo quando ben 20.000 famiglia dipendono dall’ente regionale».
Uscire da questa situazione sarà possibile solo cambiando la classe dirigente, lasciando che siano i professionisti a occuparsi di politica. Ma non i professionisti della politica, quelli che dalla pubblica amministrazione si prendono una poltrona per non lasciarla più. Perchè chi ha una sua professione ha tutto il vantaggio nel vedere migliorare la città in cui anche lui dovrà prosperare. Ma a stipendio garantito questa esigenza evidentemente non la senti. E poi serve l’azione dei cittadini. «Dal basso e tutti insieme si possono rimuovere le “istituzioni estrattive”». E ora davvero non si può più aspettare, i 10.000 pacchi alimentari distribuiti l’anno scorso dalla Caritas locale (cui vanno aggiunti contributi economici per circa 100.000 euro), raccontano di uno Stato che sta miseramente fallendo nella sua principale missione: quella di migliorare la vita dei suoi cittadini.

a.giacummo@luedi.it

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