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POTENZA – Un taglio da 21 milioni di euro alle royalty destinate a Stato, Regione Basilicata e comuni valdagrini. E’ quello chiesto da Eni e Shell, che il 18 maggio ha presentato un ricorso al Tar della Lombardia chiedendo di sospendere i pagamenti previsti per il 30 giugno.
Secondo le due compagnie titolari della concessione per l’estrazione di petrolio e gas dal giacimento della Val d’Agri il Ministero dello sviluppo economico avrebbe gonfiato «artificiosamente» l’importo dovuto. Fissando un valore per la produzione di idrocarburi gassosi notevolmente maggiore rispetto ai prezzi di mercato. A causa «del calo della domanda e dello sviluppo della concorrenza nei mercati all’ingrosso». Sommati all’effetto combinato del decreto “cresci Italia”, approvato nel 2012, e di un paio di delibere successive dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, competente per le tariffe delle forniture di gas naturale alle utenze non industriali del cosiddetto “mercato tutelato”.
Di fatto nel 2013 l’Autorità avrebbe «riformato il metodo di determinazione delle condizioni economiche di fornitura nei confronti del mercato tutelato». Intervenendo proprio sul «calcolo del costo della materia prima», che è stato agganciato alle quotazione sul «mercato a breve termine» dell’hub olandese Tts, punto di riferimento per l’Europa continentale.
In precedenza le tariffe per le utenze non industriali venivano calcolate «sulla base di indicatori legati alle quotazioni medie del petrolio e di altri combustibili sui mercati internazionali». Un indice, soprannominato “quota energetica del costo della materia prima gas” (QE), evidentemente più rigido, quindi abolito dal governo Monti «per per avvicinare i prezzi italiani a quelli europei».
E le royalty? Il calcolo del valore dell’aliquota di produzione che il titolare di una concessione di estrazione di idrocarburi deve versare a Stato, Regioni e Comuni interessati è sempre stato differenziato tra petrolio e gas.
Per il primo si adotta la «media ponderale dei prezzi di vendita» fatturati dalla compagnia nell’anno di riferimento. Oppure ci si appoggia ai «prezzi sul mercato internazionale di greggi di riferimento con caratteristiche similari», nel caso di utilizzo diretto da parte del concessionario. E la giostra si ferma lì.
Per il gas, invece, ci si serve della «media aritmetica relativa all’anno di riferimento dell’indice QE, quota energetica del costo della materia prima gas». Ma non finisce qua, perché dal 2007, come spiega il legale di Eni e Shell, l’avvocato Fabio Todarello: «i quantitativi di gas naturale corrispondenti alla misura delle royalty sono posti all’asta». E «non prima del mese dei agosto dell’anno successivo a quello cui la produzione si riferisce».
L’obiettivo sarebbe quello «di garantire che le royalty rispecchino il corretto valore del gas naturale, appunto definito mediante l’incontro della domanda e dell’offerta». Eppure i decreti ministeriali che hanno dato attuazione alle aste hanno introdotto una clausola «per evitare speculazioni». Disponendo che i produttori «non possono accettare» comunque offerte inferiori al prezzo calcolato secondo l’indice QE.
Aste senza possibilità di ribasso. Per provare a farla breve. Solo che quelle che si sono svolte nel 2014 (riferite alla produzione del 2013) sono andate deserte per effetto dell’arrivo improvviso dall’Olanda di gas a prezzi “stracciati”. Grazie soprattutto all’ultima “rivoluzione industriale” americana, provocata della diffusione delle tecniche di estrazione di petrolio e gas dalle argille (shale).
In pratica ad agosto del 2014 è finito in vendita il gas estratto in Italia nel 2013 ai prezzi del 2013, e nessuno si è avvicinato. Così è scattata la clausola anti-speculazione che in queste situazioni impone agli stessi operatori che hanno provveduto a offrire le aliquote della produzione di gas naturale di trattenere «per sé» i lotti invenduti corrispondendo allo Stato il valore fissato come base d’asta. Rimasto fermo a prima del crollo del mercato.
«Con la quanto mai ingiusta – e illegittima – conseguenza», annota l’avvocato Todarello, «che i produttori di gas naturale in specie per la produzione 2014 dovranno versare allo Stato e agli enti compartecipanti delle royalties (Regione e comuni lucani, ndr) il cui valore è significativamente più elevato, sproporzionato e non aderente alle reali condizioni del mercato».
In soldoni, per il gas estratto nel 2014, si parla di 18 milioni di euro in più per Eni e 3 per Shell. Undici dei quali derivano perlopiù dalla produzione delle piattaforme in mare del cane a sei zampe, perciò spetterebbero allo Stato. Mentre gli altri 10 riguardano le royalty sul gas estratto in Basilicata, che secondo la legge spettano alla Regione per l’85% e per il restante 15% ai comuni della Val d’Agri.
Il ricorso è stato notificato sia agli uffici di via Anzio sia al Comune di Viggiano, che è la capitale del petrolio lucano.
Oltre alla sospensione dei relativi pagamenti, previsti entro il 30 giugno, Eni e Shell hanno chiesto al Tar di agganciare una volta per tutte il metodo di calcolo delle royalties sul gas al valore del mercato a breve termine. In vista soprattutto delle prossime aste, che coi prezzi in continuo calo potrebbero andare ancora una volta deserte.

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