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Le prime valutazioni sulle misure varate ieri sera dal governo Monti fanno ritenere che la necessaria operazione di rientro dal deficit pubblico si realizza mancando l’obiettivo dell’equità. Intervenire in modo severo su pensioni, lavoro dipendente e in generale sui ceti più deboli, senza introdurre al contempo una robusta imposta patrimoniale ordinaria, genera effetti distributivi assai poco equi.
Una valutazione più adeguata sarà possibile solo studiando con attenzione il decreto, ma anche sul fronte dello stimolo alla crescita le misure non appaiono entusiasmanti. Infatti, se la correzione del deficit pubblico avviene deprimendo la domanda aggregata, si rischia di aggravare la recessione economica già in corso.
Una parte rilevante della manovra riguarda le pensioni, con la decisione di adottare dal 2012 il sistema contributivo per tutti i lavoratori e l’innalzamento dell’età pensionabile. Fatti quindi salvi i contributi versati al 31 dicembre 2011 con i vecchi sistemi in vigore, la parte di pensione collegata invece ai contributi versati dal primo gennaio 2012 sarà di tipo contributivo, ovvero l’importo dell’assegno sarà più strettamente correlato ai contributi.
L’esito, in concreto, è quello di un taglio per le future pensioni dei lavoratori più anziani, che in tal modo si allineano alle più basse prestazioni pensionistiche già previste per i lavoratori più giovani.
A questo si aggiunge la prosecuzione del processo di innalzamento dell’età pensionabile per uomini e donne, verso i 67-68 anni, e la stretta sulle pensioni di anzianità.
Se confrontiamo questa dura batteria di interventi sulle pensioni dei cittadini, interventi previsti o già attuati, con le proposte che avanzano nel consiglio regionale di Basilicata per quanto riguarda i vitalizi, ci rendiamo subito conto dell’asimmetria di trattamento che il ceto politico sta riservando per se stesso. Infatti, la proposta avanzata dall’ufficio di presidenza del Consiglio, con il consenso di tutte le forze politiche ad eccezione di Sel, prevede l’abolizione del vitalizio solo a partire dal 2015, cioè soltanto per i futuri consiglieri regionali, mantenendo quindi intatti i diritti acquisiti dai consiglieri in carica.
In sostanza, per quanto la proposta di riforma consenta di ottenere in futuro l’eliminazione del vitalizio, è inadeguata perché mantiene i nostri consiglieri in una posizione di privilegio rispetto a quanto previsto per i comuni cittadini.
Ci sono alcune cose minime (o medie) che dovrebbero dunque essere fatte. Per prima cosa, se si ritiene inaccettabile, o comunque impraticabile, l’eliminazione immediata dei vitalizi, si dovrà comunque necessariamente adottare dal primo gennaio 2012 il sistema contributivo anche per gli attuali consiglieri regionali. In questo modo, perlomeno, ci si allineerà alle regole vigenti per tutti i lavoratori.
Nuove regole che, a quanto pare, nella logica del cosiddetto sistema pro rata, saranno adottate anche da deputati e senatori per i propri vitalizi. Si noti che questa innovazione consentirà di ridurre le pensioni future per i consiglieri in carica, a parità di contributi versati. Si tratta cioè di una misura equa e che, inoltre, contribuisce a ridurre i costi di funzionamento dell’ente regionale.
Inoltre, sempre in linea con quanto prevedono le norme per i lavoratori, si deve alzare con effetto immediato l’età in cui matura il diritto alla pensione per i consiglieri. Un’età di 66-67 anni, date le aspettative di vita, appare una scelta corretta e, beninteso, non deve essere prevista alcuna possibilità di anticipare il momento della pensione, pur in previsione di forme di penalizzazione. Anche per questa strada si persegue, al contempo, l’equità e si ottiene una riduzione di spese per l’ente regionale.
Il terzo intervento è un taglio del costo complessivo sostenuto per i consiglieri regionali. È ragionevole pensare ad una riduzione del trattamento onnicomprensivo non inferiore al 20% dell’attuale importo.
Anche questo taglio è equo, sia perché i consiglieri conserverebbero comunque un’indennità di tutto rilievo sia considerando i ripetuti e consistenti sacrifici richiesti alla collettività per rientrare dall’alto debito pubblico. Inoltre, la riduzione permanente dei trattamenti si rende necessaria anche per compensare l’ultra deficit che l’ente dovrà sopportare nella lunga fase di transizione che porta alla completa eliminazione delle spese per i vitalizi. I
n pratica, e per paradosso, prevedendo la scomparsa dei vitalizi, e quindi degli associati contributi, si avranno diversi altri decenni nei quali, ovviamente, si dovranno comunque continuare a pagare le pensioni per gli ex consiglieri.
Si tratta di un’altra importante questione, questa del futuro deficit contributivo, su cui tutti i consigli regionali dovranno presto fare una riflessione.
In conclusione, è importante che in una fase di grandi sacrifici e di dura crisi economica, i nostri gruppi dirigenti regionali si mettano alla testa del processo, contribuendo in prima persona al risanamento e dando un esempio di rigore.

Antonio Ribba

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