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POTENZA – C’è uno Stato che il cittadino percepisce come nemico. E’ quella parte dello Stato che pretende puntualità nei pagamenti, nelle scadenze. Ma che poi tempi e scadenze non rispetta, causando anche il fallimento di floride imprese.

C’è una Stato che ti dice che “la legge non ammette ignoranza”, ma che poi liquida come errori possibili quelli che fa lui.

E’ quanto accaduto a un cittadino potentino – non faremo il suo nome perché ci ha chiesto l’anonimato – a cui nello scorso maggio è arrivata una lettera di Equitalia. E già questo di solito ti mette un po’ d’ansia: quasi mai sono belle notizie.

Ma quando il nostro cittadino apre quella lettera arriva la conferma della brutta notizia. Equitalia sollecita un pagamento di 541  euro. «La invitiamo a versare quanto prima l’importo dovuto – si legge – e la informiamo che in mancanza di tale pagamento attiveremo tutte le procedure di recupero previste dalla normativa vigente. Ciò in quanto siamo tenuti per legge a svolgere ogni azione utile alla riscossione delle somme iscritte a ruolo dagli enti creditori, senza poter in alcun modo valutare se tali somme siano effettivamente dovute».

Allora il nostro cittadino corre a leggere l’allegato, con il dettaglio del debito. E qui arriva la sorpresa. L’Ente creditore è l’Inps. Nel 1990 c’era stato un tardivo pagamento di alcuni contributi. Il ritardo costa 2.60 euro (all’epoca la cifra era in lire). Nessuno comunica che è necessario versare quei due euro, che vengono computati tra i debiti del cittadino. E negli anni quel debito cresce, senza che nessuno comunichi che la cifra si è fatta consistente: 541 euro.

A quel punto – è il maggio del 2001 – il debito viene notificato. Ma non pagato per una serie di vicissitudini. Da allora sono passati altri 12 anni. Quella cartella è stata dimenticata, sepolta nella memoria. Fino a quella lettera che riapre il caso.

Il cittadino allora si rivolge all’Inps, che è l’Ente creditore. Per loro nulla è dovuto, però – questo è l’invito che viene fatto al cittadino – «venga a trovarci negli uffici, perchè due giorni alla settimana è presente qui da noi un impiegato di Equitalia, a cui potrà chiedere personalmente».

Dopo pochi giorni il cittadino è negli uffici dell’Inps, con l’Ente di previdenza che conferma che nulla è dovuto e l’impiegato di Equitalia che spiega che è strano, «evidentemente qualcosa non ha funzionato nel sistema».

Sostanzialmente quel cittadino non deve nulla ad Equitalia: trascorsi i dieci anni dalla notifica, il debito è caduto in prescrizione. «C’è un sistema che blocca queste cartelle – ha spiegato l’impiegato – ma evidentemente non ha funzionato».

La legge non ammette errore, verrebbe da dire. Ma dipende dalla bilancia evidentemente. «Io credo – dice il cittadino che, nel frattempo, si era rivolto anche a degli avvocati – che ci abbiano provato. E se io avessi pagato? La legge non gli impedisce di mandarmi questo sollecito a quanto sembra. E se io per paura pago subito? Perché quello che loro scrivono («attiveremo tutte le procedure di recupero previste») suona quasi come un’intimidazione. E perchè me la mandano se per l’Inps quel debito non esiste? Io credo che dovrebbero correttamente informare gli utenti che quel debito non si può più riscuotere. Che poi ci rendiamo conto della beffa? Per una mora di 2.60 euro arrivano queste cartelle. Parliamo di poche lire dell’epoca: se mi avessero avvisato subito – e sarebbe stato corretto – io non avrei avuto problemi a pagare. Ma comincio a credere che lo facciano apposta a non avvertire, così poi possono riscuotere ben altre cifre».

Somme «inesigibili». In tutta Italia parliamo di circa 545 miliardi che l’ente di riscossione non può più chiedere un po’ perchè il debito è caduto in prescrizione, un po’ perché le aziende sono fallite e non è stato possibile recuperare soldi.

E così è normale per un normale cittadino pensare: “Ci hanno provato, ma stavolta gli è andata male”.

a.giacummo@luedi.it

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